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Un ossimoro in Lambretta – Patrizia Carrano

Un ossimoro in Lambretta

Amabile libercolo questo di Patrizia Carrano. Come si conviene a una piccola biblioteca dell’inutile, collana nella quale questo testo è inserito. L’idea della Carrano è di ripercorrere le orme del professor Giorgio Manganelli al di fuori dei percorsi consueti, tracciati dalle biografie e dalle bibliografie.

«L’uomo è un vero maestro nel raccontare di sé medesimo: malumori, sussulti, incubi, deliqui, fughe, tutto – o meglio, quasi tutto – quanto lo riguarda è finito nelle sue pagine, in una sorta di “autobiografia senza io” (così egli ha definito una raccolta di scritti di Alberto Savinio, con un’idea che si attaglia perfettamente anche al suo stesso scrivere)»

L’ossimoro del titolo è Manganelli stesso: “una mente fatta uomo”. E l’autrice racconta le sue frequentazioni con questo “incommensurabile divenuto corpo”, “con l’infinitezza racchiusa in limiti finiti”, in una parola “un ossimoro”, che un giorno prese una Lambretta e si trasferì da Milano a Roma. In un viaggio avvolto nelle nebbie della pianura padana e della leggenda.

Un fine intellettuale il professore. Perché alcuni autori hanno fatto del corpo e della propria esistenza un’opera d’arte. Scrittori che sono a volte più noti per le loro imprese, che per le pagine che ci hanno lasciato. Pensiamo a Lord Byron o a D’annunzio e ad altri autori che hanno modellato la loro vita seguendo gli stilemi della trama di un romanzo d’avventura.

Manganelli è invece una mente pura. Un flusso di parole che esiste di per sé, disgiunto dall’autore che, tema caro al gruppo ’63, è morto e sepolto (e da qui anche la repulsa per i Bassani o i Cassola) per lasciare spazio al flatus voci, al puro flusso verbale, alla perfetta geometria di una ragnatela di parole.

Perché, come sottolinea anche l’autrice, la mente di Manganelli è una macchina perfetta, che attiva il “cembalo scrivano”, ovvero la macchina da scrivere, manifestandosi in lettere e parole, così come un pianista crea la musica premendo i tasti del pianoforte. E il suono di quella mente è proprio il ticchettio dei tasti, da cui il Manga creava Improvvisi per macchina da scrivere.

Una mente perfetta che la Carrano segue nei suoi spostamenti da un appartamento all’altro, in un’infinità di traslochi, nelle sue idiosincrasie e interessi carnali. Ne viene fuori un ritratto intimo. Dell’amore del Manga per il formaggio di fossa, per i coltelli, la musica, i buoni vini, le taverne dove poter mangiare senza essere disturbato, i film, le lunghe telefonate, composte da infinite divagazioni e variazioni su un tema che scompare, nelle quali esibisce il suo lato fool:

«Benché spesso si autodefinisca un fool, che per sua natura e condizione “non può tenere discorsi, non ha pareri, non consente né dissente; ma gli si concede, anzi si vuole che egli straparli, scioccheggi, strologhi, berlinghi, fàbuli e affàbuli, concioni agli inesistenti…” in quelle conversazioni egli si mostra come un amico affabile e curioso»

Un autore che diventa personaggio, schivo e sfuggente, disperso in uno di quei labirinti che amava tanto, che costruiva con la sua prosa sottile. Labirinti di cui non importa l’ingresso o l’uscita, ma l’esservi dentro, il perdervicisi, come nei suoi pseudo-romanzi. Come nei racconti di Borges, altro amante dei labirinti, ma con una differenza, che il Manga stesso sottolinea:

«Persino i labirinti di Borges sono meno labirintici. “I miei sono fangosi, oscuri, abitati da serpi e sorci, percorsi da onde nere e putrescenti. I suoi sono geometricamente lavorati, sono lindi, lustrati, pitagorici” ammette in una sera di confidenze, appena fuori da un altro cinema dove hanno visto un altro film»

Davvero un amabile, breve e inutile testo. Di quell’indispensabile inutilità che è l’essenza stessa dell’arte e spesso della letteratura.

Un testo che come recita il sottotitolo ci porta per mano nei Labirinti segreti di Giorgio Manganelli, quasi che fosse stato lui stesso a scriverlo o a dettarlo a una Creatura che l’ha composto seguendo i suoi gesti quotidiani, quelli che a volte ci sfuggono, pur essendo essi stessi rivelatori, direbbe Alexander Pope, dell’infinita letizia di una mente candida.

Patrizia Carrano
Un ossimoro in Lambretta
ItaloSvevo
2016

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