Federico Tozzi Editore ha l’onore di stampare in Italia Didier Blonde, autore parigino edito in Francia da Gallimard e finora inedito in Italia. La sua caratteristica principale è quella di scrivere libri che sono vere e proprie indagini poliziesche che mirano alla riesumazione dei resti delle celebri vite di figure scomparse.

Possono essere personaggi dalla fama imperitura, come Baudelaire; di fantasia, come i personaggi dei romanzi d’appendice: Rocambole, Arsenio Lupin e Fantômas; anonimi, come “la sconosciuta della Senna”; o personaggi un tempo celebri e ora quasi completamente dimenticati, come gli attori del cinema muto.

In Un amore senza parole Didier Blonde riesuma infatti la storia di Suzanne Grandais, celebre attrice del cinema muto, la prima vera star del grande schermo, che divenne la prima grande diva capace di suscitare ammirazione e passione, fino al delirio, nei suoi fans. Questo fino alla sua morte prematura, avvenuta a 27 anni, in seguito a un incidente stradale.

Morte prematura che, come capita ai grandi divi, come è capitato a James Dean o a Jim Morrison, a Amy Winehouse o a Janis Joplin e via dicendo, li rende dei miti eterni, congelandone le gesta in un’eterna giovinezza. Come è successo per Suzanne Grandais, immortalata in molti film muti, vecchie bobine nelle quali si aggira come un fantasma, senza che mai si possa più sentire la sua voce, morta insieme al ricordo delle persone che la conobbero dal vivo.

Ma quella di Suzanne Grandais è stata una celebrità postuma di breve durata, perché con l’avvento del sonoro non solo il ricordo di lei, ma anche gli attori e le attrici che ancora recitavano nei film muti sono stati tutto a un tratto cancellati dalle scene perdendo la loro fragile celebrità. L’effetto del sonoro è stato dirompente quanto il presunto asteroide per i dinosauri.

Ma allora perché Blonde se ne interessa?

E qui entra in gioco il grande romanziere che mischia sapientemente finzione e realtà, in un gioco di specchi difficilmente decifrabile. Punto di partenza è il ritrovamento di un manoscritto di tale Jean D., che non era solo un ammiratore di Suzanne, ma che nutrirà per tutta la vita un amore che sfiora l’ossessione per l’oggetto del suo sentimento amoroso e la devozione monomaniacale che invece di affievolirsi cresce, con il passar del tempo.

Così Blonde riesuma il vecchio cliché del manoscritto ritrovato. Già usato dalla notte dei tempi e reso celebre da Cervantes nel Don Chisciotte o dal Manzoni ne I promessi sposi. Ma gli dona nuova linfa vitale non facendoci capire dove finisca la realtà e inizi la fantasia, con tutta una serie di documenti che non si sa quanto siano d’archivio e quanto siano un depistaggio, arrivando a ringraziare, alla fine del libro, gli stessi personaggi (o persone?) che l’hanno aiutato «in questa inchiesta su di Suzanne e Jean D.»…

O a pagina 85, non riuscendo a scoprire l’identità anagrafica di Jean D., mentre noi lettori lo seguiamo nelle sue disperate ricerche, come Watson segue Sherlock Holmes, dichiara:

«Anche quelli che lo avevano conosciuto erano schivi come lui? Tutti i miei tentativi sono risultati vani. Non resta alcuna traccia di Jean D. al di là del suo manoscritto e dell’atto di morte. Alla fine ho praticamente iniziato a credere di essere stato io ad averlo inventato».

Insomma un romanzo, o un’indagine, che si sviluppa su due livelli. Da una parte il manoscritto di Jean D. che rievoca il periodo del cinema muto. La prima volta che vide Suzanne sullo schermo e se ne innamorò. Il tentativo di conoscerla, i pedinamenti, fino ad arrivare alla porta del suo appartamento con un mazzo di fiori in mano, senza avere il coraggio di bussare alla porta. E poi la prematura scomparsa della diva in quel tragico incidente stradale e la devozione postuma che arriverà fino ai giorni nostri. Da un’era lontana, dalla preistoria del cinema, fino a noi.

Dall’altra parte Didier Blonde che pedina Jean D. e ne ripercorre i passi. Arriva anche lui fino a quell’appartamento e chiede alle ottuagenarie che ancora ci vivono se si ricordano di Suzanne, la diva del cinema. Riguarda i film che Jean D. aveva visto nelle première. Con ricerche d’archivio ricostruisce la toponomastica delle strade del tempo per ritrovare il punto esatto in cui quella macchina, il 20 agosto del 1920, si ribaltò uccidendo Suzanne.

Alla fine da questa doppia ossessione, di Jean D. per Suzanne e di Blonde per Jean D., ne esce una grande avventura. Un’avventura della passione che dura l’arco di un’intera esistenza, di un uomo, per un’immagine che si muoveva su uno schermo, senza dire una parola, appunto Un amore senza parole e un’avventura della scrittura per come Blonde ricostruisce minuziosamente quel mondo ormai scomparso, che rivive davanti a noi che lo leggiamo, ma è come se lo vedessimo proiettato su un telo, grazie all’invenzione dei fratelli Lumière.

P.s. 1 – Leggendo il libro si avverte il rammarico che non ci siano appendici fotografiche. Una foto di Suzanne Grandais, dei giornali dell’epoca, una cartina del luogo dell’incidente, una riproduzione anastatica del manoscritto (magari falsa). Ma alla fine si capisce che è meglio così. Che tutto si muova sul piano dell’immaginazione che scaturisce dalla forza evocativa della parola, per rendere il libro ancor più realisticamente fantasmatico.

P.s. 2 – Un amore senza parole, non a caso, è il primo libro della collana lys, un libro a metà tra il romanzo e il saggio, un libro ibrido. La seconda uscita della collana è La bocca dell’inferno (anch’esso inedito in Italia) un libro in cui vengono riuniti i documenti relativi allo straordinario incontro tra Crowley e il poeta portoghese Fernando Pessoa, tra cui l’integralità della loro corrispondenza e il romanzo che Pessoa scrisse sul presunto suicidio dell’occultista inglese. Insomma una collana di “casi letterari” di grande interesse, di cui attendiamo con curiosità la terza uscita.

Didier Blonde
Un amore senza parole
Un amour sans paroles
Traduzione di Chiara Tavella
Federico Tozzi Editore
2018