Giorgio Manganelli è uno di quei pochi autori che scrive così come si risolve una complicata equazione algebrica. Nella sua scrittura c’è la perfezione matematica sprigionata da un’intelligenza duttile e precisa. Un altro su questo versante è Musil, o il suo adorato (e tradotto) Edgar Allan Poe. Con l’aggiunta di un’ironia folgorante, che lo rende simile all’orso mordace, rintanato nella propria tana, che allunghi dal buio una zampata mortale.

Questo è Manganelli. Intelligente e ironico in ogni cosa che ha scritto. Che fossero i romanzi, o pseudo-romanzi, da Hilarotragoedia a La palude definitiva. Che fosse la parafrasi di Pinocchio: un libro parallelo o i raccontini fiume di Centuria. Duttile anche nei generi. Avendo esplorato la letteratura di viaggio, da quando decise di abbandonare la sedentarietà per girare il mondo e riportarcelo in splendidi testi come Cina e altri orienti o L’infinita trama di Allah. Viaggi nell’Islam. E poi gli scritti teatrali, i drammi radiofonici, la vastità della produzione saggistica.

L’editore Mincione ha il merito di aver recuperato questo Ufo e altri oggetti non identificati, una raccolta di articoli scritti dal professore su vari giornali e inerenti al folklore e alla cultura popolare e fantastica. Un altro splendido libretto, pubblicato sempre da Mincione Edizioni, è Intervista a Dio, praticamente la tredicesima, per lungo tempo rimasta inedita, della serie delle Interviste impossibili.

Ma veniamo agli Ufo avvistati da Manganelli alla fine degli anni ’70.

Luoghi nei quali appaiono sono i giornali nazionali, dove la cronaca locale testimonia di avvistamenti di oggetti non ben identificati. Ma Manganelli, con la sua sottile ironia, mette subito in chiaro che i marziani sono in ritardo. Erano gli anni tra il 1950 e il ’60, gli anni in cui i giornali erano colmi di dischi volanti.

«Saremmo passati in un al di là grande come il cosmo, avremmo lucidato le astronavi, portato il cappuccino con le brioches ai governatori cellcoli; saremmo stati gli scaccini, i sagrestani del nuovo tempio. Che occhi misteriosi, venuti dal profondo del cielo, ci scrutassero “con tanto bramoso interesse” ci inorgogliva».

Erano gli anni del dopo guerra, della guerra fredda, del terrore atomico e altre “piacevolezze”, i dischi volanti erano fantasmi usciti da qualcosa di angoscioso, frammenti di un sogno destinato a oscillare sempre tra incubo e visione. Erano una proiezione di un qualcosa di superiore dai tratti ancestrali, dei nostri desideri più profondi, che si potevano tramutare in un attimo in demoni verdastri.

E che interessava in quegli anni di un’astronave nell’Iowa, o di un disco volante a Cape Kennedy?

«Noi vogliamo incontrare i marziani in via Manzoni, angolo via della Spiga; che quelle tre dita rossastre ci si posino sulla spalla mentre stiamo per acquistare un giornale in piazza Castello o a Galleria Colonna, e che gli occhi sgomenti della giornalaia ci annuncino l’inizio della fine. E voltarci con calma e dire – a chi? – “Era ora”».

Ma quando sembra che siano arrivati, ormai è troppo tardi, si tratta forse dell’ultimo degli ufo, un ritardatario che ha perso la rotta e sfiora erroneamente la nostra orbita. Gli extraterrestri ci hanno dimenticati, e noi abbiamo perso interesse per loro. Siamo soli. Non è più il momento giusto per un incontro ravvicinato del terzo tipo, magari ancora qualche hanno prima, vent’anni prima sarebbe stato tutto più semplice:

«Allora Milano era una città avida di futuro, i grattacieli le spuntavano come foruncoli sul volto di una sedicenne ignara di essere destinata a diventare diva; era una metropoli che si raccontava su di sé storie improbabili, ma eccitanti; si sentiva l’unica città europea in Italia. Un disco volante si sarebbe librato nel cielo di quella Milano in omaggio a una città galattica. Un UFO equivaleva ad un “ciao”, una pacca, un brindisi in mezzo al cielo, una amichevole fumata di sigaro, come se le mandano vecchi e danarosi amici, al club, da due grandi, comode poltrone di cuoio».

Ma insomma ormai è tardi e al professor Manganelli non resta che fare dell’ironia, con un po’ di rammarico. Rammarico, per lui che fu sempre con un piede di qua e uno in un suo personale e cangiante e più volte descritto al di là, per quello che sarebbe potuto essere e non è stato. Peccato!

Manganelli studia questi avvistamenti con l’ausilio di testi autorevoli. Si documenta con I Simboli della Scienza Sacra di Guénon o il Trattato di Storia delle Religioni di Eliade, spaziando fino all’antologia di Fruttero e Lucentini, Questa notte attenti agli UFO; per approdare infine al libro dell’eretico allievo di Freud, Un mito moderno, che Jung pubblicò nel 1958 e dal quale il professore prende spunto per interpretare gli avvistamenti:

«Per Jung il disco volante rappresenta il simbolo di una centralità, di un che di assoluto, una esigenza intima di trovare il nodo del mondo; secondo Jung, in un momento in cui il problema del “senso del mondo” è totalmente e scientificamente represso, esso riappare come un misterioso segno luminescente nella notte».

E una volta argomentato sugli UFO, nella prima sezione del libro, negli altri capitoli sono raccolti articoli che Manganelli ha dedicato ad altri temi a lui cari. Articoli su Altre cose che transitano in cielo, la cometa di Halley, asteroidi dispettosi o un aereo vecchio e solo. Oppure discetta di Fantascienza, passando Dall’altra parte dell’Apocalisse o Da un inferno all’altro.

E ancora. Manganelli ci racconta, dal suo personale al di là che ha infine raggiunto (e chissà a quale delle sue immaginifiche ambientazioni corrisponde), di Scienza, magia, superstizione, sogni, divagando, dall’astrologia alla numerologia, passando per la crittografia dell’universo e il computer, definito ladro e gentiluomo. Scienza, profezie, l’anno bisesto (questo!) che è come un gatto nero.

Sembra canzonarci parlando dell’immortalità degli automi. Di come la morte giunga dal cielo sotto forma di aereo russo. Intanto gioca con il trizio e l’acqua pesante. E infine si perde, come in un lieto fine, tra il Fiabesco e il Fantastico, perché questo libro è come un testamento ritrovato, vergato dall’autore di suo pugno, attraverso il quale il professor Manganelli non si stanca mai di divertirci e di sorprenderci.

Un libro dal quale si sente ancora la sua luminosa risata dal buio.

Giorgio Manganelli
UFO e altri oggetti non identificati
Mincione Edizioni
2015