Infuria la battaglia. Atterriti, dal rifugio antiaereo percepiamo il tremendo sibilo dei bimotori nemici che sorvolano le nostre teste, nonché il frastuono delle bombe che essi sganciano sulla nostra città, partorendole come figlie dai loro ventri di tremende ma prolifiche madri.

All’esterno, fra cumuli di macerie ed ammassi di cadaveri, non riconosciamo il quartiere che ci ha visto crescere, a causa dell’opera distruttrice dei carri armati. Non riconosciamo nemmeno noi stessi quando vediamo il nostro volto riflesso allo specchio, stremato e smagrito, ormai brutta copia di quello di un tempo, in cagione dei traumi subiti ma anche delle insufficienti razioni di cibo che il governo ci fornisce.

Guerra!

Fatale compagna di vita con cui i nostri avi hanno convissuto per lunghi anni senza riuscire mai ad abituarsene. Solo retaggio di un passato remoto, più che studiato sui libri di scuola dalle giovani generazioni (e, speriamo, per chissà quanti anni ancora!). Altresì, incubo che scuote le nostre ancestrali paure quando ne sentiamo parlare dai mass-media, specialmente se riguardante, proprio come in questo periodo, aree del mondo non così lontane dai nostri confini.

E la speranza? Fra bombardamenti, barbarie e rappresaglie, c’è posto per essa?

Inoltre, può la cultura fungere da portatrice di speranza, tanto da essere considerata addirittura l’”arma segreta” per vincere la guerra?

Per meglio dire, ha senso che un popolo, affamato ed esausto, possa sperare di sconfiggere il nemico mettendo in campo, ad esempio, un “esercito” composto non da soldati ma da musicisti, notoriamente armati non di moschetti o di granate bensì di oboe, violini, pianoforti, ecc.?

Secondo Sarah Quigley, autrice di “Sinfonia Leningrado”, la risposta ad ambedue le domande non può che essere affermativa.

Leningrado, anni 1941-42. Nell’antica città fino a pochi anni prima chiamata San Pietroburgo, un tempo splendente luogo di residenza degli zar, ora assediata dalle truppe naziste, le autorità comuniste locali, al fine di infondere fiducia e coraggio nella popolazione, danno ordine di eseguire, trasmettendola via radio, la Settima Sinfonia del famoso compositore nonché concittadino Dmitrij Sostakovic (detta appunto anche “Sinfonia Leningrado”). Per l’esecuzione viene incaricata l’Orchestra Radiofonica della città, ridotta, dopo i tanti lutti, ad uno sparuto gruppo di componenti, anch’essi inevitabilmente indeboliti dalle privazioni.

È risultato efficace il comando impartito? Per rispondere, non ci viene in aiuto tanto il libro, riguardando lo stesso quasi esclusivamente gli antefatti al concerto, quanto la storia: Sostakovic è infatti un personaggio realmente esistito e la sua “Sinfonia Leningrado”, vero filo conduttore del romanzo, ci parla di un popolo sì messo in ginocchio da Hitler ma altrettanto orgoglioso e carico di forza di volontà da riuscire a resistere alle violente incursioni germaniche fino alla definitiva vittoria sui tedeschi. L’opera della Quigley è perciò sia frutto dell’immaginazione della scrittrice sia ispirata ad avvenimenti reali.

Un’opera incentrata sulla speranza quale parte integrante dell’amore, sulla sua silenziosa ed insospettabile forza: amore per la cultura e per la musica ma anche per la propria famiglia, per la propria città-patria. E l’amore, si sa, fa miracoli: fa “ritornare alla vita” una bimba dispersa, tramuta il timido e frustrato direttore d’orchestra Elias in un autorevole esempio di coraggio…

Il libro si sofferma infatti a descrivere i personaggi e le loro caratteristiche ma è, soprattutto, un romanzo “di movimento”, in cui gli accadimenti si susseguono ad un ritmo incalzante, tumultuosi, alla stessa velocità con cui si fugge da un attacco bellico.

Non mi stupirei quindi se qualche regista decidesse di trarre un film dall’opera della Quigley, tra l’altro, autentico best-seller in Nuova Zelanda, terra d’origine dell’autrice.

Titolo: Sinfonia Leningrado
Autore: Sarah Quigley
Editore: Neri Pozza
Anno: 2014