Una vita dedicata alla scrittura è una vita passata a pensare. Vivere con passione e pensare sono tutt’uno. Pensare è forse l’unico strumento che abbiamo per evitare di fare il male, andava dicendo Hannah Arendt più di mezzo secolo fa. Questa rubrica, a partire da brevi recensioni, si occuperà di autrici e personalità femminili che hanno fatto dello scrivere la loro vita e che, attraverso la scrittura, sono state in grado di dare espressione al loro pensiero. Attraverso le loro opere abbiamo accesso al loro vissuto e dunque alla loro persona. Il loro rilievo non si misura in molti casi né con la fama né con il successo ottenuti. Per ogni Virginia Woolf o Simone de Beauvoir quante autrici non hanno mai scalato classifiche o vinto premi, venduto libri o fondato circoli letterari?
Tuttavia, allo sforzo di portare visibilità su personalità meno conosciute di altre vorrei unire una ricerca il più possibile trasversale dedicata a donne autrici di romanzi, saggi, articoli, gialli, fumetti, poesie. Perché parlare di genere non significa necessariamente tracciare confini e restringere il campo di interesse. Al contrario, spesso significa scoprire un universo di cui forse si ignorava l’esistenza.
In questa prima di una (spero) nutrita serie di recensioni presenterò uno degli ultimi libri di Rossana Rossanda uscito nel 2013 per Einaudi: “Quando si pensava in grande”.
Rossanda, classe 1924, ragazza del secolo scorso – o forse, come preferisce definirsi in questo libro, “una comunista eretica e sessantottina tardiva” (p.3) – ha compiuto in aprile novant’anni. Eppure la forza e la lucidità della sua testimonianza, sviluppata attraverso venti colloqui con altrettante personalità della Storia del Novecento (da Lukács a Sartre, da Althusser ad Allende fino a Bruno Trentin, Pietro Ingrao, Sergio Cofferati e molti altri) non sembrano affatto venute meno. Non solo Rossanda nelle pagine che introducono i principali contenuti delle interviste svolte per il Manifesto affronta di petto una delle questioni più spinose che riguardano, seppur indirettamente, il libro (gli intervistati sono tutti uomini, come se non vi fossero state donne protagoniste della politica nel Novecento). Anche nei brevi passaggi con cui Rossanda ripercorre la storia del Secolo Breve ricostruendone il filo attraverso le interviste troviamo inalterato il suo tocco e il suo stile – quella acutezza estrema mascherata da una sorta di nonchalance con cui da sempre è stata capace di tratteggiare la realtà.
Così l’autrice-giornalista ci racconta della sua confidenza con Sarte e delle cene con Togliatti, o del divanetto giallo su cui intervistò Allende prima del disastro e su cui immagina, ancora oggi, di vederlo, sdraiato, puntarsi l’arma contro quando tutto ormai era perduto. Certo, “Quando si pensava in grande” tratta di molto altro: di politica classica, come la definisce Rossanda, di teorie disattese e di previsioni spesso fallaci che hanno portato progressivamente la sinistra – e in particolare la sinistra italiana, quella del partito comunista più grande d’Europa – a scomparire dopo aver lasciato che il neoliberismo erodesse conquiste faticosamente ottenute. Tuttavia, leggendo questo libro non si può fare a meno di avvertire la sensazione che l’autrice voglia prima di tutto portarci con sé nei suoi ricordi e condividere con noi lettori quelle sue straordinarie esperienze che oggi farebbero impallidire i migliori giornalisti di punta.
Ciò che colpisce, dunque, è il modo in cui Rossanda restituisce a figure che sembravano ormai sbiadite dal tempo la vivacità del presente grazie alla memoria, alla scrittura e, in particolare, grazie a quella testimonianza che è il vissuto stesso dell’autrice, e che troviamo riaffermarsi con forza in “Quando pensavamo in grande”.
Autore: Rossana Rossanda
Titolo: Quando si pensava in grande
Editore: Einaudi
Anno: 2013