Per il grande Umberto Eco, la redazione di Piego di Libri ha scomodato addirittura due delle sue penne più illustri, quelle di: Giuliano Gargano e Matteo Bugliaro. Ecco la doppia recensione di “Numero Zero” (ed. Bompiani).
La recensione di Giuliano Gargano
Se rimpiangete un romanzo intriso di religione, medioevo e misteri come “Il nome della Rosa”, o di complotti ed esoterismo come “Il pendolo di Foucault”, non avvicinatevi a “Numero zero”. Perché Umberto Eco spiazza tutti con il suo ultimo libro.
Ambientato ai tempi di Tangentopoli (inizio anni Novanta), racconta di una strampalata idea editoriale: quella di creare una dozzina di numeri zero (cioè non destinati alla pubblicazione) di un quotidiano – il Domani – che diventi strumento di pressione per i cosiddetti salotti buoni, attraverso dossier, insinuazioni, sfumature. Il compito è affidato ad un manipolo di giornalisti sfigati, falliti.
L’io narrante è tal Colonna, che deve fingere di essere braccio destro del direttore Simei e invece ha il compito di raccontare in un libro quella avventura. I dialoghi e lo stile riflettono la disarmante limitatezza dei protagonisti. Uno di questi, Braggadocio (termine che in inglese vuol dire millantatore), è il re dei complottisti: nelle sue ricostruzioni mette dentro tutto come una maionese impazzita: Mussolini, il Vaticano, Gladio, la CIA, Licio Gelli e la P2… citando Jovanotti, si potrebbe dire che mancano i riferimenti soltanto a Che Guevara e Madre Teresa!
E se si volesse guardare all’attualità, si potrebbe cogliere una critica al tanto diffuso complottismo: ma negli anni Novanta non si parlava ancora di scie chimiche. Il vero obiettivo è quel giornalismo diventato macchina del fango, quello che ha prodotto il caso Boffo.
Un libro che deluderà appunto i nostalgici di Eco prima maniera, con quei lunghi elenchi – dagli ordini cavallereschi alle frasi fatte da non pubblicare – che riempiono pagine e pagine del romanzo e che stanno a metà tra una prova di erudizione e gli Esercizi di stile di Queneau. Ma che usa un registro banale e disincantato per un motivo: quello stesso di tanto giornalismo raffazzonato, di un paese senza cultura, che si beve qualsiasi cosa senza discernimento critico e che non si stupisce e non si indigna più.
La recensione di Matteo Bugliaro
Da una parte c’è la Storia, con la S maiuscola. C’è il nucleo incandescente degli avvenimenti, che passa prima attraverso il crivello della cronaca che troviamo sui giornali e che si congela poi nei libri di storia e viene tramandato. Tutto il resto è noia. Chiacchiericcio pettegolo tra vicine di casa con la portinaia, sui ballatoi delle case popolari, da cui nascono i malintesi e le dicerie dell’untore.
Joe Gould voleva scrivere la storia orale del mondo. Girovagava per N.Y. con i suoi taccuini in mano registrando le più banali conversazioni. Così almeno ci racconta Joseph Mitchell.
Ma per il romanziere è diverso. Un romanziere parte, spesso, dalla necessità di narrare. Di focalizzare una storia e di renderla interessante, attraverso la creazione di un meccanismo narrativo più o meno complesso. La grande storia può essere cooprotagonista, come in Guerra e Pace o rimanere sullo sfondo come nei Promessi Sposi. Ecco. Umberto Eco parte invece dalla necessità di informare. E attraverso la narrazione ci informa del suo pensiero, creando un romanzo a tesi. Peccato solamente che la forma romanzo a un certo punto risulti forzata, non necessaria.
Era credibile in quei romanzi dove mischiava storia e erudizione, ammantandoli con il romanzesco. Il nome della Rosa. L’isola del giorno prima. Baudolino. Già nel Cimitero di Praga risulta meno credibile. In questo Numero zero lo è ancora meno.
Ne viene fuori una cosa bidimensionale, piatta. I dialoghi sono didascalici, monocordi, innaturali. Non sono nemmeno dialoghi, ma chiacchiericcio, borbottio di sottofondo del mondo, brontolio del brodo primordiale, brusio della radiazione cosmica di fondo, borborigmi di un cadavere in putrefazione, dal quale Eco pretende che nascano i complotti segreti e le leggende metropolitane e… le notizie dei quotidiani.
A un certo punto una visione. Il professore di semiotica faccia a faccia con De Niro che gli dice: «Sei solo chiacchiere e distintivo! Solo chiacchiere e distintivo! Sei solo chiacchiere e distintivo! Chiacchiere e distintivo! Sei solo chiacchiere e distintivo!».
Comunque il titolo è azzeccato.
Ahi, ahi, ahi. Eppure a noi il professore di semiotica in fondo piace. Ed è pure simpatico. Come qui, quando ha presentato il suo libro a Che tempo che fa di Fabio Fazio.
Autore: Umberto Eco
Titolo: Numero Zero
Titolo originale: Numero Zero
Editore: Bompiani Anno: 2015
1 commento
Soffro di insonnia prima di dormire devo leggere almeno un ora . Erano 30 anni che non leggevo un libro così scadente non ce l’ ho fatta a finirlo, sono sicuro che Umberto Eco non l’ ha neanche letto.