Il nuovo attesissimo romanzo di Jonathan Coe, pubblicato come sempre in Italia da Feltrinelli, ha per nome “Numero undici. Storie che testimoniano la follia”. Nella sua versione originale il sottotitolo “OR TALES THAT WITNESS MADNESS”, riprende esattamente il titolo del film horror del 1973 diretto da Freddie Francis, uscito in Italia con il titolo Delirious. Il baratro della follia.
I lettori che già conoscono le opere di Jonathan Coe lo sanno bene: i dettagli sono fondamentali nei romanzi dello scrittore di Birmingham. La ricerca storica che conduce alla scrittura di un nuovo romanzo è sempre molto accurata. Non mancano mai riferimenti a film o a pezzi musicali, e anche questo suo undicesimo romanzo non delude le aspettative. Pur non conoscendo il film a cui il titolo si riferisce, ne deduco che la conclusione di questo libro si ispira a ciò che accade nell’opera di Francis. Altrimenti non mi spiego il finale che infatti è decisamente a tinte horror, e che a una prima lettura mi ha lasciato poco entusiasta, essendo io amante del verosimile.
Presentato come il seguito del suo capolavoro “What a Carve Up!” (la famiglia Winshaw, del 1994), si caratterizza per essere un ritratto satirico della società inglese odierna. I nessi con l’opera da cui prende forma non sono in realtà molti: la famiglia Winshaw è secondaria nelle vicende narrate, che per lo più raccontano cosa succede a due giovani ragazze inglesi, Rachel ed Alison. Quest’ultima viene messa in reale difficoltà da un articolo scritto dalla giovane Josephine Winshaw-Eaves, erede e degna rappresentate della miglior tradizione di famiglia: è ambiziosa, cinica e spietata.
I capitoli sono legati tra loro come sempre: nell’Inghilterra di Jonathan Coe sembra che ci abitino al massimo 20 persone; e queste, prima o poi, si incontrano. Tanti infatti sono gli intrecci tra i vari personaggi. Il bello delle sue storie è proprio questo: un personaggio che magari fa il poliziotto, e la cui storia viene narrata a metà libro, lo si ritrova in chiusura quando finisce a indagare su di un crimine e a interrogare Rachel. Ecco, per certi versi l’intreccio tra le storie dei singoli personaggi rimandano al film Premio Oscar 2006 “Crash – Contatto fisico”. Inoltre, l’elemento ricorrente che lega le varie vicende è proprio il numero 11. Una volta è la linea del bus che prende la madre di Alison, un’altra volta il civico di un’abitazione… Coe ha scelto questo numero in quanto è effettivamente la sua undicesima prova come romanziere.
Dicevamo la satira. In questa sua opera l’autore va all’attacco di vari aspetti della società inglese del XXI° secolo. E lo fa come sempre con inventiva, humour e una dose di fantasia che a volte sfiora il grottesco. A finire nel suo mirino sono i social network, i reality show (splendida la sua versione dell’Isola dei Famosi), l’edilizia londinese, l’immigrazione clandestina, gli appalti che riguardano i conflitti bellici, i Premi di caratura internazionale, e – immancabile – l’industria della carta stampata.
Un libro che consiglio, come del resto consiglio tutti quelli scritti da questo bravissimo scrittore inglese. Se siete di palato fino forse non vi piacerà il modo di scrivere piuttosto semplice e lineare, ma vi assicuro che pochi romanzieri hanno la capacità di intrattenere e divertire come Coe. Vi ritroverete a chiudere il libro senza che ve ne siate accorti. Da leggere dopo il già citato “La famiglia Winshaw”, altrimenti vi perdete sia il background per godervi a pieno questo sequel, sia un caposaldo della narrativa satirica contemporanea.
Autore: Jonathan Coe
Titolo: Numero undici
Titolo originale: Number 11
Traduzione: Mariagiulia Castagnone
Editore: Feltrinelli
Anno: 2016