Quest’ultima raccolta di racconti, Mastica e sputa, di Pino Roveredo è un libro inclassificabile. Già dire racconti è dire tutto e niente. Ci sono infatti dei racconti che sono come dei romanzi fiume, condensati in poche pagine. Ci sono epifanie di una sola paginetta. Ci sono testi drammatici e altri ilari. La biografia, topografica e storica, di Trieste. Esperienze di viaggi a Parigi e a Lubiana. Di tutto e di più.

Proviamo, per cercare di catalogarlo, ad avvicinarci al libro come faceva Gérard Genette in un celebre saggio, Souils. Attraverso le soglie del libro proviamo a scovarne l’essenza. Come si cerca di capire come sarà una casa al suo interno, mentre siamo ancora fermi davanti alla porta, in attesa di suonare il campanello.

Partiamo dal titolo allora. Mastica e sputa è un verso tratto da Ho visto Nina volare, canzone di Fabrizio de André, racchiusa in quello scrigno di bellezza che è l’album Anime salve. Così fa Pino Roveredo, mastica a lungo le sue esperienze e poi, con amarezza, le sputa sulla pagina senza gingillarsi troppo con le parole.

Ma il titolo ci dice anche altro. Pino Roveredo è uno che si è fatto da solo. Che ha imparato più dalla strada e dalla galera e dal manicomio, che da altro. Non è uscito dalle accademie o dall’università. Ha esperienze di vita, come un Erri De Luca o un Mauro Corona. Ma guai a paragonarlo a costoro. Perché i suoi maestri sono Guccini e De André, i grandi cantautori, le cui canzoni hanno accompagnato la sua vita travagliata.

Ma come sappiamo tutto ciò, solo esaminando la soglia del libro? Nel secondo risvolto di copertina c’è la sua biografia e una frase: «Dopo varie esperienze (e salite) di vita…», che già dice tutto, come il celebre titolo del suo primo libro Capriole in salita del 1997, ristampato da Bompiani nel 2006.

Nel primo risvolto di copertina c’è invece la biografia del libro, la sua sinossi e si legge: «Donne di dolori, fatiche di uomini. Malattia, isolamento, solitudine, carcere, manicomio. Il mondo di Pino Roveredo torna in una raccolta di racconti». Proprio così, la scrittura per Pino Roveredo è stata salvezza da situazioni drammatiche, ed è sempre una camuffata autobiografia.

Infine c’è l’immagine di copertina. Una Piazza Unità d’Italia degli anni ’50-’60. Perché Pino Roveredo è uno scrittore di frontiera, che in questo libro rievoca potentemente le proprie origini e le origini della sua città. Specialmente in un racconto, Girate la cartolina, nel quale mostra come dietro le bellezze “da cartolina” di Trieste, si nascondano realtà che lo scrittore conosce bene attraverso la sua attività di Operatore di strada.

Finalmente apriamo il libro e il primo racconto che ci viene incontro è il più drammatico dell’intera raccolta. Non per caso posto all’inizio. È un biglietto da visita, una dichiarazione d’intenti. La storia di una donna violata e umiliata, che si ribella alla sua condizione di sottomissione. Pino Roveredo l’ha posta in primo piano perché si squarci il velo che ricopre molte storie di femminicidio, che ci passano accanto nelle cronache, spesso inosservate.

Il secondo racconto fuoriesce direttamente dagli archivi di un manicomio. Polvere (Viaggio tra archivio e memoria). Pino Roveredo ricostruisce la storia di un’internata in manicomio partendo dalla sua scheda, ritrovata in un archivio. Ed ecco che appare davanti a noi la storia dell’alienata C. Angela, da Plezzo. Gorizia, 8 luglio 1939/XVII:

deceduta a quindici anni, dentro l’indifferenza del manicomio, col “distinguo” dell’idiota, morta senza consumare il diritto a un’infanzia, ma soprattutto senza aver provato, nel suo breve passaggio, il piacere di essere presa in braccio e di entrare nella giustizia di una carezza. Non serviva tanto, sarebbe bastato un minuto al giorno, un minuto ogni tanto…

Sono storie che ci sfiorano, uscendo dall’anonimato per prendere forma per un istante. Come se seduti nella nostra poltrona, mentre leggiamo, un fantasma apparisse attraversando le pareti e se ne andasse così com’è arrivato, lasciandoci una sensazione, una gioia o un dolore, che abbiamo captato dal suo sguardo.

Ma non sono solo racconti drammatici che costellano il cielo di Pino Roveredo. All’interno di questo libro ci sono anche testimonianze di viaggi a Parigi, offerte dal punto di vista di un turista sprovveduto. O il divertentissimo e avventuroso viaggio che l’autore da giovane, allora operaio in fabbrica, ha intrapreso con Claudio Magris, per raggiungere un convegno di scrittori a Lubiana.

I racconti di Pino Roveredo sono proprio come dei treni che passano in corsa. Non sappiamo da dove vengano e neppure dove vadano. Abbiamo poche informazioni, ci lasciano scapigliati, con uno scompiglìo dei capelli, per l’aria immobile che muovono. Non ci resta che salutare, fermi al passaggio a livello, e attendere che uno di quei personaggi, nel loro viaggio dall’oblio alla carta, ricambi le nostre attenzioni.

Pino Roveredo
Mastica e sputa
Bompiani
2016