«C’era a Montmartre, al terzo piano del 75 bis di rue d’Orchampt, un uomo eccellente di nome Dutilleul che aveva il dono singolare di passare attraverso i muri senza nessuno sforzo. Portava un pince-nez, una piccola barba nera ed era impiegato di terza classe presso il Dipartimento di Registrazione. In inverno andava nel suo ufficio con l’autobus, e, con la bella stagione, faceva il tragitto a piedi, sotto la sua bombetta».

[scultura di Jean Marais in Place Marcel Aymé a Parigi]
[scultura di Jean Marais in Place Marcel Aymé a Parigi]
È l’inizio folgorante del racconto Le passe-muraille (1943) di Marcel Aymé. Ma nella stessa raccolta ci sono altri strani personaggi, ad esempio, sempre nello stesso quartiere (nel quale visse lo stesso autore a partire dal 1928):

«C’era a Montmartre, in rue de l’Abreuvoir, una giovane donna di nome Sabine la quale possedeva il dono dell’ubiquità».

Quella di Aymé è un’ironia raffinata e stralunata. Una delle sue caratteristiche pregnanti è il dono dell’incipit folgorante che getta subito il lettore in un mondo surreale dove, di conseguenza, tutto ciò che a rigor di logica dovrebbe essere impossibile, risulta invece naturalmente plausibile…

«Il miglior cristiano di rue Gabrielle, e di tutta Montmartre, era, nel 1939, un certo Duperrier, uomo così pio, così giusto e caritatevole che Dio, senza attenderne la morte e quando ancora era nel pieno delle forze, gli cinse la testa di un’aureola che lo accompagnava giorno e notte»

Partendo da queste premesse apparentemente assurde il racconto si scrive da sé, come se fosse un irreprensibile sillogismo che sfoci nella naturale conseguenza di una metafisica fantastica, che ci travolge non per la sua assurda impossibilità, ma che ci sorprende per la sua naturale quotidianità.

«C’era un romanziere, il cui nome era Martin, che non riusciva a evitare di far morire i personaggi principali dei suoi libri, e anche quelli di minore importanza»

Nel racconto Martin il romanziere, che battezza anche questa pregevole raccolta edita da L’Orma Editore, che sottrae dall’oblio lo scrittore francese, la faccenda si complica innescando un gioco metaletterario che anticipa l’Oulipo e il Teatro dell’Assurdo, sulla falsa riga dei fatidici sei personaggi pirandelliani che prendono vita alla ricerca dell’autore e inscrivendo di diritto Marcel Aymé nell’Accademia della Patafisica di Jarry.

I personaggi cercano di rivoltarsi al destino che lo scrittore ha in serbo per loro, scoprendo di avere un seppur debole libero arbitrio. Diventano petulanti, vanno fuori tema blaterando dialoghi incoerenti, tentando di sfuggire dal loro destino di carta.

Diventano assurdi e incomprensibili, prima che diventasse una norma, con Beckett e Ionesco e Adamov e compagnia bella, si ribellano al principio di verosimiglianza portando il lettore sul terreno dello straniamento e dell’incoerenza.

«Un romanziere onesto è come il buon Dio, non ha molto potere. I suoi personaggi sono liberi, può soltanto soffrire delle loro miserie e dispiacersi che le loro preghiere siano inutili. Semplicemente, ha su di loro il diritto di vita e di morte, e nell’ambito dell’accidentale, dove talvolta il destino gli lascia un po’ di margine, può accordare qualche modesta consolazione. Non più che a Dio, a noi non è concesso cambiare idea. L’inizio decide tutto, e una volta scagliata la freccia non si può più tornare indietro…»

Un libro da leggere per riscoprire un autore troppo a lungo dimenticato, forse per le sue amicizie, che non gli sono state perdonate. Era infatti amico di Céline e di Robert Brasillach, e per questo fu accusato di collaborazionismo e di antisemitismo, nonostante avesse ferocemente deriso il regime nazista prima del 1939 e non dandone alcun segno di adesione dopo il 1940.

Céline compare anche in un cameo nel racconto La carta del tempo: è insieme ad alcuni amici di Aymé, o meglio dello scrittore Martin, che egli incontra per Montmartre e sono Gen Paul, Daragnès, Fauchois, Soupault, Tintin, d’Esparbès e altri ancora:

«Céline aveva un diavolo per capello. Diceva che era un’altra macchinazione degli ebrei, ma credo che a portarlo fuori strada, su questo punto specifico, fosse il suo cattivo umore»

Un autore che riscopriamo quindi non solo attuale, ma addirittura precursore di correnti e di scrittori più noti e apprezzati, che abbiamo letto senza sapere quanto dovevano a Marcel Aymé, quasi che fossero a loro volta dei suoi personaggi, nati dalla sua vulcanica fantasia, per poi mettersi a vivere e a scrivere per conto proprio.

Marcel Aymé
Martin il romanziere
Derrière chez Martin
Traduzione di Carlo Mazza Galanti
L’Orma Editore, 2016