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L’Italia degli anni di piombo – Indro Montanelli e Mario Cervi

L'italia degli anni di piombo

In questi giorni campeggia sui giornali la storia di Mafia Capitale, quel perverso intreccio tra politici, funzionari, faccendieri, malviventi. Una melassa appiccicosa che ricopre l’attività del Campidoglio, lambisce starlette dello spettacolo, calciatori. Un “mondo di mezzo”, lo chiamano i magistrati, una massa indistinta di collusi che fanno affari e lucrano al di fuori e al di sopra di regole e legalità. A capo di questa organizzazione un personaggio definito pomposamente Re di Roma. I quotidiani si prodigano in biografie di quest’uomo, che ha perso un occhio durante un conflitto con le forze dell’ordine nel 1981, mentre militava nei NAR (nuclei armati rivoluzionari) e fungeva da raccordo con la banda della Magliana.

Quella sigla riporta direttamente agli Anni di Piombo, agli opposti estremismi che per più di un decennio insanguinarono l’Italia. I NAR erano un gruppo di estrema destra (ed il nome, confessarono i fondatori Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, scimmiottava quello dei NAP, Nuclei Armati Proletari, schierati invece all’estrema sinistra).

La definizione di “mondo di mezzo” riecheggia invece la Terra di Mezzo descritta da J. R. R. Tolkien nel suo Signore degli Anelli e nello Hobbyt, testi assurti a bibbie spirituali della destra radicale negli anni Settanta. Mi sono chiesto quali percorsi della storia avessero portato personaggi che nella loro giovinezza, armi in pugno, avevano follemente propagandato le loro assurde posizioni in base a convinti dettami ideologici, a diventare protagonisti di una stagione di malaffare in cui l’unico ideale è quello del guadagno facile. Certamente è questa la molla: fare soldi, farne tanti, senza rispettare le regole.

Non ho riletto Tolkien per l’occasione, ma per curiosità ho ripreso un vecchio libro di Indro Montanelli e Mario Cervi, che fa parte della loro collana sulla Storia d’Italia. Il saggio è quello sull’Italia degli anni di piombo, dal 1965 al 1978. Premetto subito che non ho trovato notizie sui NAR, la cui attività, ho scoperto dopo, si è concentrata negli anni ’77-’81. Ma il libro dei due giornalisti, che proprio in quegli anni lasciano il Corriere della Sera (reo di essere troppo timido nella denuncia dell’estremismo di sinistra) per fondare il Giornale, offre uno spaccato di un’Italia che sembra lontanissima ma i cui vizi sono oggi tali e quali a quelli di allora.

Montanelli verrà gambizzato nel giugno del 1977 dalle Brigate Rosse, ma l’episodio è solo accennato: nelle scorrevolissime pagine del saggio si succedono i nomi di tanti protagonisti della Prima Repubblica. A farla da padrone sono i democristiani (le cui correnti erano partiti nel partito) e il Pci, con l’ascesa di Enrico Berlinguer. Da una parte Fanfani, Rumor, Andreotti, Cossiga, Forlani, Moro, Zaccagnini, Leone, tutti dipinti con magistrale insolenza. E dall’altra parte i Natta, Pajetta, Longo, Napolitano… In mezzo i rissosi socialisti, che uniscono e staccano le sigle dei partiti senza soluzione di continuità. Mentre i palazzi della politica sono impegnati in snervanti operazione di potere e posizionamento, non ci si accorge che la società è in fermento.

I primi fuochi si accendono nelle università nel 1968. Una doverosa riforma dell’insegnamento – in mano ai baroni – degenera in atti di intimidazione. È l’epoca del 27 politico, delle occupazioni. Si affacciano i nomi dei primi cattivi maestri, come Mario Capanna. Una pubblicistica di parte e timorosa delle violenze nega l’evidenza (la morte di Giangiacomo Feltrinelli viene subito dipinta come un assassinio, mentre saranno i suoi stessi complici a dire che si trattò di un incidente durante la preparazione di un attentato dinamitardo) o istruisce processi di popolo (nei confronti per esempio del commissario Luigi Calabresi, che poi verrà effettivamente giustiziato).

Il fermento si allarga nelle fabbriche, senza che lo Stato abbia la forza di intervenire. La breve parabola di Renato Curcio alla guida delle BR chiude una fase che lascia spazio ad una generazione più feroce e spietata. Gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine lasciano quasi ogni volta morti e feriti sulle strade. I fronti sono almeno tre: comunisti contro fascisti, fascisti contro comunisti, tutti insieme appassionatamente contro lo Stato. Che continua a sottovalutare la questione, preso da questioni sì storiche – i referendum sull’aborto e sul divorzio, la crisi energetica, il terremoto nel Belice – ma che non giustificano tale inerzia.

In un susseguirsi di attentati, atti dimostrativi, esecuzioni e manifesti firmati da tutta l’intellighenzia italiana, si arriva al cruciale rapimento di Aldo Moro (1978)
. I 55 giorni di prigionia del presidente della DC si consumano tra fautori dell’accordo con le BR e intransigenti paladini della fermezza. L’assassinio di Moro scuote l’opinione pubblica: la DC viene premiata alle elezioni, il Pci punito. Cresce il Psi di un giovane segretario, Bettino Craxi. E al Quirinale viene eletto Sandro Pertini.

Il libro di Montanelli e Cervi termina qui, non la stagione della tensione. Nel 1979 c’è l’assassinio del giornalista Mino Pecorelli (per il quale viene incriminato e poi assolto proprio il Re di Roma da cui parte questo racconto), nel 1980 c’è la strage alla stazione di Bologna. In tempi più recenti schegge impazzite delle BR hanno colpito (l’assassinio del giuslavorista Marco Biagi è del 2002).

La lettura del libro di Montanelli e Cervi lascia sgomenti per la ferocia che ha caratterizzato quegli anni, e spiega fin troppo chiaramente come anche la più accesa convinzione ideologica di chi in quegli anni si fronteggiava con molotov e P38 non nascondesse altro che una sovversiva, inutile e ingiustificata violenza, i cui frutti marci sono ancora presenti nella nostra società, votati alla religione universale, quella del dio denaro.

Autori: Indro Montanelli – Mario Cervi
Titolo: L’Italia degli anni di piombo 1965-1978
Anno: 1991
Editore: Rizzoli

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