La sumera è il primo romanzo del poeta Valentino Zeichen, nato a Fiume nel 1938 ma romano d’adozione. È impossibile per l’autore nascondere il suo “passato scomodo” di poeta, se mai ci venisse il malsano sospetto che costui desideri, per un qualche motivo, rinnegarlo.
Chi meglio di un poeta sa infatti trastullarsi con le parole, da abile giocoliere, adoperando al meglio la loro linguistica musicalità, insaporendola (ed è proprio il caso dello Zeichen!) con una dose massiccia di ironia e con quell’ermetico disincanto con cui guarda alle cose del mondo? Magari osservandole dalla sua baracca, forse abusiva, situata sulla via Flaminia…
Se è Valentino Zeichen colui che nei suoi versi paragona la forma della poesia al taglio delle unghie dei piedi, quale risultato di un’attenta limatura di punte acuminate e di una minuziosa accorciatura, come potremmo stupirci (per ritornare all’opera presente) se il passaggio di nubi in alto nel cielo è definito come un’”esposizione meteorologica”? Oppure se, in riferimento all’erotismo di cui il libro è intriso, l’arcinoto epilogo finale del rapporto sessuale è un “epitaffio seminale” ed il membro virile viene chiamato “il collimatore”?
Ma La sumera viene dopo, per fortuna. E ciò ci permette, se non altro, di tentare di comprenderla.
Viene dopo I Vitelloni, di felliniana memoria, che fanno il gesto dell’ombrello ai lavoratori. Perché da vitelloni si comportano i tre protagonisti, dall’età mai espressamente dichiarata ma probabilmente non più così verde. Contagiati da quell’indolenza, tipicamente romana, asserviti al “non irrilevante ruolo dell’inutilità”, dopo aver scoperto di
“somigliare a coloro che leggono nel loro avvenire una inevitabile convivenza spirituale con la nevrosi da assenza di scopo nella vita, esca ghiotta per guadagnare le attenzioni di molte donne.”
Li lega, unitamente alla già intuibile passione per le ragazze, un sentimento di amicizia, nei cui meandri si sviluppa, come capita solo nelle amicizie quelle vere e profonde, la gramigna dell’antagonismo.
Tale rivalità prende la forma di Lei. L’innominata, decisamente affascinante, dalla fisionomia sumera, pur dichiarando eterno amore soltanto ad uno di questi, il romantico, non disdegna ad intrattenersi piacevolmente anche con gli altri due.
Non può non tornare alla mente l’Emilio Brentani di Senilità e il suo complesso di inferiorità nei confronti del suo amico-rivale-in-amore Stefano Balli. Come nel capolavoro sveviano, pure esso antecedente al romanzo di Zeichen, ne La sumera, Ivo, uno dei protagonisti, si dimostra inadeguato ad amare Lei, che se ne prende gioco, accusandolo di non amarla abbastanza e preferendogli l’amico-nemico Paolo che, guarda caso, come nell’opera di Svevo, è un artista.
Mario, il terzo incomodo, aiutante dell’amico pittore, si rivela invece un uomo estremamente pratico, pronto a sfruttare tutte le occasioni che gli facciano raggranellare qualche soldo e, come sembra dai suoi discorsi, incapace anche di quel minimo di idealismo che caratterizza Ivo.
È presente però un ulteriore protagonista: la folla.
Questa prende le sembianze delle “cavallette”, ovvero la moltitudine di signore impellicciate dedite al “vandalismo gastronomico”, con le dita inzaccherate dalla maionese delle tartine servite nel buffet che segue le mostre di quadri. Fedeli al motto “l’importante non è essere, ma esserci”, ricordano la gente, cafona e superficiale, del film La Grande Bellezza (mi perdonerà, spero, l’ipotetico lettore della presente recensione per il terzo, ma ultimo, paragone…), sebbene l’opera di Zeichen non è ambientata ai giorni nostri bensì, molto probabilmente, verso la metà degli anni ‘70.
Da notare come l’autore non fornisca mai precisi riferimenti temporali e come questi debbano pertanto essere dedotti da una serie di indizi: la comparsa di una Fiat 127, il rincaro del prezzo del petrolio di qualche anno prima, l’aver nominato Gorgon, calciatore polacco di quel periodo tutt’altro che famoso.
E mentre fa da sfondo alla vicenda una Roma molto amata, neppure l’arte sembra sottrarsi a questa dilagante banalità: Paolo è avviato al successo riproducendo tele che sembrano essere poco più che carte geografiche di paesi africani sottrattisi al giogo coloniale inglese.
Ma se la vita perde così di significato, lo stesso vale per la sua gemella, la morte che, nel finale, farà la sua comparsa. E, nella pressoché totale indifferenza della folla, una promessa d’amore appare ormai tardiva: ma sarà quella di Lei?
Che dire infine? Un libro da leggere, consci del fatto che il linguaggio poetico e dalle atmosfere un po’ surreali di Zeichen applicato per la prima volta alla prosa, a prima vista ostico, si dimostrerà in realtà un prezioso e piacevole accompagnatore alla lettura.
Autore: Valentino Zeichen
Titolo: La sumera
Editore: Fazi
Anno: 2015