Diciamoci la verità: quanto è importante l’incipit di un libro? Non dico fondamentale, ma certo significativo per predisporci positivamente alla successiva lettura. Quei geni di Fruttero & Lucentini ci avevano fatto un libro, nel 1993, Íncipit. 757 inizi facili e meno facili. Comunque questo è l’esordio de Il Testimone di Juan Villoro:
«Era contento che gli fosse toccata la camera 33. Quell’hotel non aveva la pretesa che la 33 fosse la 303. C’era poi da considerare che Ramón López Velarde era morto a trentatré anni e lui aveva bisogno di coincidenze. Qualunque elemento superstizioso in grado di avvicinarlo al poeta lo avrebbe fatto sentire più qualificato. Conosceva quanto già noto su Ramón, vale a dire niente. Tutti sapevano tutto di lui»
Quello che si dice un incipit felice.
Oltre all’incipit ci sono altri segni, interni ed esteriori, che contribuiscono alla scelta di un libro, a sentirlo a pelle come nostro sodale. Esteriormente c’è la copertina, perché un libro non solo si può, ma si deve giudicare prima di tutto da quella. E poi la quarta di copertina, dove l’editore riporta giudizi eminenti, che però risultano atti di fede, per interposta persona.
Per quanto riguarda l’interno ci sono poi almeno tre metodi di scelta. L’incipit, come abbiamo detto. La lettura di pagina 99, come riteneva lo scrittore inglese Ford Madox Ford: «Apri il libro a pagina 99 e leggi: ti verrà svelata la qualità di tutto il testo». E infine la bibliomanzia, ovvero l’aprire il libro a caso e leggerne il contenuto, come una volta si faceva con la Bibbia, perché il versetto, casualmente scelto (o provvidenzialmente indicato), indirizzasse le mosse del fedele.
Ma torniamo all’incipit de Il testimone nel quale, in nuce, ci sono tutti i temi sviscerati nel romanzo.
Innanzitutto è importante, in questo primo periodo cabalistico del libro, il numero 33: ovvero gli anni della morte del poeta Velarde, ma anche gli “anni di Cristo” e al tempo stesso la cifra richiesta dal medico, per constatare e auscultare lo stato di salute (in questo caso, metaforicamente, di un’intera nazione).
Ma fondamentale in questo romanzo è la figura del poeta, come dice lo stesso Villoro «non evocato, ma convocato» attraverso la narrazione che diviene una sorta di seduta spiritica necessaria per resuscitare il passato e scandirlo grazie ai versi di Velarde, che si susseguono nel libro divenendo a seconda delle occasioni o spunto di partenza del ricordo o emblematico sigillo di una vicenda passata, quasi fossero sentenza.
Julio Valdivieso, il protagonista, che ritorna in Messico dopo ventiquattro anni passati in Europa, non fa a tempo ad appoggiare la sua valigia per terra che già inizia la sua avventura, sotto forma di una telefonata di un suo vecchio compagno di seminario, di cui ricorda il nome senza però riuscire ad associarvi un volto:
«Disporre di un nome era come entrare nel camerino di una compagnia teatrale e ricostruire un personaggio da un abito. Chi c’era sotto il berretto verde? Un folletto, un cacciatore o un principe decaduto?»
Un romanzo che prende subito il volo dispiegandosi sulla falsa riga dei ricordi.
Ricordi di un Messico che non c’è più, che si è dissolto portandosi via la giovinezza del protagonista in esilio, ma anche rievocazione di alcuni momenti storici con i quali la nazione non ha mai veramente fatto i conti.
Come la famosa Rivoluzione dell’inizio del novecento, ma soprattutto la meno nota Cristiada, durante la quale la Chiesa Cattolica venne privata di personalità giuridica, fino ad arrivare a una vera e propria persecuzione dei ministri cattolici, limitando di fatto la libertà di culto.
A questi ricordi nazionali s’intrecciano i ricordi personali della defunta cugina Nieves, il primo, il grande amore del protagonista, che rimane ad aleggiare come un’ombra su tutta la sua esistenza, così come sul suo matrimonio con Paola: «Il Messico era Nieves. E drammaticamente, da dieci anni, era la tomba di Nieves».
Tutto, nel ritorno in Messico di Julio Valdivieso, gli ricorda, come un simbolico, onnipresente sole meridiano, la cugina perduta:
«In sogno, Nieves tornava da lui come profumo di nespole e terra bagnata, violetta di genziana e vecchi rimedi di farmacia, gomma al ribes e aranciate artificiali; rintocco di campane nevrotiche e grandine nel cortile, sensazione di calzini bagnati che stridono nelle scarpe; case con lunghi corridoi e stanze come vagoni di treno, porte di vetro smerigliato, cucchiai pesantissimi nelle sue piccole mani, gabbie vuote per un’epidemia che si era portata via tutti i canarini e che loro avevano sostituito con dei piccoli aeroplani di carta non sapendo di fare un’installazione; ombre, chiaroscuri, penombre, anni in cui mancava sempre la luce. Questo scenario non suggeriva di primo acchito l’infanzia tipica degli anni Sessanta; era come se si fossero conosciuti in un’epoca anteriore, circondati da troppe cose vecchie fin da allora, custodite da una famiglia convinta che ciò che era usurato desse un’aria di nobiltà. Esisterà ancora quel paese? Sarebbe esistito ancora al di fuori della sua fantasiosa nostalgia?»
In sintesi davvero un grande romanzo latinoamericano come non se ne leggevano da tempo. Uno di quei romanzi mondo che ammaliano per l’universo che riescono a creare e a evocare con la forza ipnotica della narrazione e con la grazia leggera di una prosa magicamente poetica.
Così, quando si è giunti quasi alla fine e sai, dalle poche pagine rimaste nella mano destra, che la bolla sta per scoppiare lasciandoci orfani, davvero si rallenta ulteriormente la lettura, pregando che per incanto questo romanzo di cinquecento pagine non finisca mai, dopo averci convinti fin dall’incipit e aver passato indenne la prova di pagina 99 e della lettura completa.
Un libro veramente sontuoso, per vastità della trama e compattezza dei personaggi, un grande romanzo che ha il coraggio di mettere in luce quei momenti storici che sembrava che il Messico volesse dimenticare, e di metterli in parallelo alla vita del poeta nazionale, Lopez Velarde, e alla vita personale dei personaggi minori, per creare nel suo insieme un affresco vivace e realistico, che affascina per i suoi colori, i dettagli e l’immensità del panorama, interiore ed esteriore, che scandaglia.
Juan Villoro
Il Testimone
El Testigo
Traduzione di Maria Cristina Secci
Gran Via, 2016