Sono sempre stato attratto, oltrepassata la boa dell’età anagrafica in cui è il quattro il primo numero che si scrive, dal curiosare nel mondo degli adolescenti di oggi. Vinto da una palpabile aura di nostalgia per i miei diciott’anni ormai lontani, tento di intuirne lo slang, affascinato dalla loro innata abilità per le ultime tecnologie, a me in parte incomprensibili. Oppure provo a scoprire se è tutto vero e reale ciò che si dice in giro, in merito alla loro perdita di ogni inibizione sessuale, anche se a volte i sociologi parlano invece di eccessiva timidezza o imbranataggine, al fatto che abbiano perso di vista i valori tradizionali (che paroloni!) e questo sia il motivo per cui in bus non cedano il posto alla vecchietta di turno e siano attirati da insidiosi paradisi artificiali. O se, piuttosto, siano solo arrabbiati e frustrati da un paese che, chiuso da infinite rendite di posizione, concede loro poche risorse.
Per riuscire nell’intento mi faccio guidare, investendolo del ruolo di novello Virgilio, da Rocco Civitarese e dai suoi Giaguari invisibili, romanzo d’esordio, il quale, beato lui, diciott’anni ce li ha per davvero.
Scorro nella lettura e cosa mi dico innanzitutto: “però, il ragazzo ne ha di talento!”. Non per nulla nel 2016 è stato tra i semifinalisti del Premio Campiello Giovani con il racconto Bianca spuma e ha ricevuto una segnalazione speciale al Premio Calvino.
Frasi del tipo:
“A studiare le femmine (Freud!) aveva speso quattro anni di liceo. Sbarcavano dalle medie senza fianchi, trucchi o armi di seduzione. Gnucche. Dopo un anno, metamorfosi al quaranta per cento, erano irriconoscibili. L’adolescenza aveva rimpolpato cosce, tette, affilato i visi e delineato il carattere.”;
oppure:
(in riferimento a un cielo che preannuncia precipitazioni torrenziali) “Gomitoli neri si torcevano e si stiravano come mandibole di cani bavosi facendo staccare dal tessuto nebuloso, a ogni strappo, stringhe di acqua malsana.”;
o ancora:
“Sembrava la bamboletta più interna della matrioska, quella con i lineamenti solo tratteggiati perché la punta del pennello è troppo grossa. A ogni assalto (una volta Anna si era presentata con un vassoio di tarallucci, un’altra con un mestolo sporco di panna da leccare) le raschiava via un po’ di lacca protettiva, si avvicinava a lei. Magari le strappava un sorriso, o uno sguardo un po’ più dolce.”,
più diverse altre, denotano, di già, una consumata abilità con la lingua e strappano un sorrisetto pure a me o mi fanno riflettere.
Come un esperto burattinaio, Civitarese fa giostrare in scena i suoi personaggi senza mai perderne il controllo, isolandoli dal mondo degli adulti e dedicando loro di volta in volta un capitolo a suo piacimento. In questo modo il lettore si sente del tutto immerso nell’ambiente giovanile, nei suoi cunicoli, nelle sue infinite porte girevoli.
Pietro, Giustino e Davide detto Golia, liceali all’ultimo anno, vivono quel momento irripetibile in cui si trovano a dover imbastire il loro futuro, però a comandare sono i divertimenti tipici della loro età, i primi amori, la scoperta della sessualità. Con le ragazze in particolare si dimostrano spavaldi e cinici, fino a rivelarsi poi fragili e incerti quando entrano in ballo i sentimenti. Il tutto in un tourbillon di attrazioni, separazioni, gelosie, partite di pallacanestro, feste, baci improvvisi, risse, rapporti sessuali reali o solo presunti. Sullo sfondo, un’elegante ma sonnacchiosa provincia padana, tanto umida e brumosa d’inverno quanto afosa e piena di zanzare d’estate.
Il libro ci parla sì dei loro sogni, a cui non possono e non devono rinunciare, ma solo come abbozzi, come desideri che non hanno ancora spiccato il volo verso la concretezza.
Spetta semmai al lettore immaginare se Pietro, cotto a puntino di Anna, cui l’autore si è particolarmente identificato per la comune origine abruzzese, ritenterà il test per l’accesso alla facoltà di medicina; se Giustino, abbandonato da Laura, diverrà un fumettista famoso dopo essersi scoperto mancino (nuova abilità nel disegno ma anche…autoeroticamente); se Golia, aiutato da una statura non comune, seppur distratto dalla maliarda Lucilla, riuscirà a debuttare nella prima squadra dell’Olimpia Milano.
L’autore insomma passa il testimonio al lettore per fantasticare se i giaguari invisibili che i protagonisti, così come tutti i ragazzi, sentono ruggire dentro di sé, usciranno fuori e diverranno leoni pronti a dominare sulla foresta circostante oppure se tremeranno di paura al primo stormir di fronde precipitando nel vuoto.
Ha risposto Rocco Civitarese ai quesiti che mi ponevo mentre mi appropinquavo ad affrontare la sua opera prima e che ho esposto all’inizio? Chissà.
Intanto però una cosa è certa:
“c’è chi si annoia e sogna poco. Per fortuna, però, c’è chi fa il lavoro doppio. I ragazzi sognano anche a occhi aperti.”.
Con l’augurio, da parte dello scrivente, di abbattersi un domani in generazioni realmente pensanti con la propria zucca, che non si limitano a stare davanti alla TV, con lo sguardo rapito dall’ennesima puntata di Temptation Island o dell’Isola dei famosi, a differenza di molti genitori dei ragazzi che oggigiorno stanno a sognare.
Buona lettura.
Autore: Rocco Civitarese
Titolo: Giaguari invisibili
Editore: Feltrinelli
Anno: 2018