Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social (Il Saggiatore, 2018) viene menzionato nel recente documentario Netflix “The social dilemma”, quando l’autore del libro, che è anche un informatico della Silicon Valley, viene intervistato per parlare del monopolio che i social hanno acquisito sulle nostre esistenze.
Vi ricordate Second life? Jaron Lanier è stato uno dei padri fondatori della realtà virtuale ed è, tutt’oggi, uno dei più fervidi sostenitori del potere rivoluzionario di internet.
Perché, allora, scrivere un libro con un titolo del genere? Un saggio che si presenta come un manifesto rivoluzionario contro il nemico invisibile che a lui piace apostrofare come la FREGATURA (acronimo ingegnoso che viene spiegato nel libro).
“Siamo costantemente monitorati e controllati e riceviamo continui feedback artificiali. Veniamo man mano ipnotizzati da informatici che non vediamo per scopi che non conosciamo. Siamo diventati tutti cavie da laboratorio”
Una delle sue arringhe d’apertura assomiglia molto ai discorsi che fanno le vecchie generazioni quando vedono i più giovani scrollare il dito sullo schermo del nostro smartphone come dei pazzi.
Eppure, in questo caso, non parliamo di una persona poco avvezza alla tecnologia, ma di un professionista che, però, condivide con i nostri nonni lo stesso timore: quello di essere controllato per un motivo a lui ignoto.
La sua principale argomentazione, che viene condivisa anche da Tristan Harris, ex dipendente Google e protagonista di The social dilemma, è la prospettiva distorta che gli utenti hanno dei social media.
Con i continui aggiornamenti e il design accattivante, pensiamo di essere noi i “clienti” dei social media. In realtà, gli utenti non sono altro che il prodotto venduto agli inserzionisti.
Recentemente, ho seguito un corso su come utilizzare Instagram per il proprio business; la costante di ogni unità era il rapporto tra “engagement” e algoritmo: quanto più si posta e si entra in contatto con i propri seguaci, tanto più l’algoritmo di Instagram se ne accorge e fa aumentare la tua visibilità sulla piattaforma.
Lanier spiega questo stesso ragionamento da un altro punto di vista e lo fa servendosi dell’esperimento di Ivan Pavlov (il ricondizionamento).
Più posti, più ricevi commenti, più il tasso di engagement aumenta, più visibilità acquisisci. Il problema è che l’algoritmo non filtra i feedback negativi dai positivi, poiché è imperfetto e adattivo. In base alle nostre reazioni sulla piattaforma cambia finché non capisce quali sono gli stimoli che ci spingono a compiere determinate azioni. Ovvero a comprare quello che viene proposto dagli inserzionisti.
Quando Lanier parla della modificazione del comportamento attraverso l’ottenimento di una ricompensa si riferisce proprio a come il cervello si adegui al cambiamento dell’algoritmo, piuttosto che tollerare la casualità dell’algoritmo stesso. E’ proprio in quel momento che si instaurano in noi dei bisogni irreali.
“Così scopriamo che quando un algoritmo procura delle esperienze a una persona, la casualità che lubrifica l’adattamento algoritmico può anche procurare dipendenza negli uomini”.
Avete mai fatto caso che il cerchio di caricamento del feed richiama il meccanismo di casualità delle slot machine? In entrambi i casi, non si sa quale sarà il risultato e questo crea aspettative e, a lungo andare, dipendenza.
I feed personalizzati per ogni utente avvalorano la tesi di Lanier. Prende Wikipedia come esempio e spiega che le voci dell’enciclopedia sono uguali per tutti, mentre i social mostrano a ognuno contenuti diversi.
Lanier compie poi il passo successivo e spiega cosa se ne fanno le aziende della marea di dati che raccolgono dalle abitudini di ogni utente. Li raggruppano in categorie che presentano tratti simili ed effettuano degli esperimenti per capire quale tipo di inserzione scatena una reazione che porta all’acquisto.
“I cosiddetti inserzionisti sanno cogliere il momento giusto, quello in cui sei più predisposto, per influenzarti con gli annunci che hanno già funzionato con le persone con cui condividi certi tratti e circostanze”
Un capitolo è dedicato al ruolo di Facebook nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016.
Lanier lancia un messaggio all’utente pacifico nei confronti del “grande fratello” perché, tanto, non ha niente da nascondere. I social non rendono distorta soltanto la tua visione del mondo, ma ti rendono anche meno empatico verso gli altri.
Sempre parlando della personalizzazione del feed: “La versione del mondo che hai tu è invisibile alle persone che ti fraintendono e viceversa”.
Lanier prende come esempio la fuga di fake news sui social, che arrivano sulle bacheche degli elettori di destra, così come di sinistra, e difficilmente contraddicono la loro opinione politica; semmai denigrano quella dell’opposizione. Spesso, scrive Lanier, questo è accaduto con gli utenti simpatizzanti per leader repubblicani irritanti, autoritari, paranoici e tribali.
“Quando un candidato, o qualsiasi altro cliente, paga per avere accesso all’attenzione degli utenti di Facebook, le dimensioni di tale accesso non dipendono solo dalla cifra investita, ma anche da quanto, secondo gli algoritmi di Facebook, il cliente sta a sua volta promuovendo e aumentando l’uso di Facebook. […]
Un dettagli curioso, emerso un anno dopo le elezioni, è che Facebook aveva offerto sia a Clinton sia a Trump la possibilità di avvalersi di team interni per massimizzare l’uso della piattaforma, ma solo Trump aveva accettato l’offerta”.
Senza approfondire la questione BOT (programmi informatici che sui social agiscono come vere persone) che fazioni politiche acquistano per pura propaganda, chi di voi non si è imbattuto in quell’amico o follower che condivide all’impazzata, tra un buongiornissimo caffè e l’altro, articoli provenienti da dubbie fonti e che istigano all’odio e al razzismo?
Gli effetti che questa ignoranza informatica ha provocato a livello esponenziale sono stati drammatici. Lanier ne parla nel capitolo 9, quando approfondisce l’impatto, positivo e negativo, che i social hanno avuto nella Primavera Araba, nel movimento Lgbtq e Black Lives Matter.
Nell’ultima parte del libro, Lanier suggerisce che l’unico modo per ristabilire un equilibrio tra l’illusione dei social e la vita reale, sarebbe portare Google e Facebook a pagamento e cita il caso di Netflix e HBO.
Porta, inoltre, come caso di successo il social Linkedin, che per gli utenti è uno strumento per realizzare un obiettivo concreto – trovare lavoro e mantenersi – che va al di là di condizionamenti mentali o acquisti compulsivi. Su altre piattaforme social questo divario tra vita digitale e vita privata non è netto, anzi, la sua totale assenza premia ancora di più gli utenti in visibilità ed engagement.
Le ragioni per leggere questo libro, come potete vedere, sono molte. Leggere Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social rimane, prima di tutto, un dovere morale verso se stessi. Informarsi e sviluppare un pensiero critico sui social media è, ora più che mai, di fondamentale importanza.
Lo stile di Lanier, inoltre, è informale e schietto. Se The social dilemma è stato accusato di incitare al sensazionalismo, il pensiero di Jaron Lanier è argomentato e comprovato da fonti che cita scrupolosamente nelle note alla fine del volume.
Insomma, è un libro opposto ai social anche per la meticolosità con cui diffonde informazioni ed espone un pensiero critico.
Autore: Jaron Lanier
Titolo: Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social
Traduzione: Francesca Mastruzzo
Editore: Il Saggiatore
Anno: 2018