A volte un libro può essere il frutto della partecipazione dell’autore ad eventi importanti, magari tragici, violenti, come la guerra per un giovanissimo Ernest Hemingway, oppure come, in tempi più recenti, per un Roberto Saviano e la sua testimonianza blindata contro Gomorra.
In altri casi può scaturire invece da emozioni intense anche se gelosamente custodite da un silenzio interrotto soltanto dalla letteratura, vedasi le raccolte di poesie di Emily Dickinson.
In altri casi ancora l’ispirazione per scriverlo può derivare da circostanze banali noiosamente imposteci dalla vita di tutti i giorni. Banali sì, ma solo in apparenza. Perché, in fondo, non c’è proprio nulla di banale.
È questo che, in estrema sintesi, nella sua ultima fatica letteraria Coincidenze, sembra volerci dire Tim Parks. Traendo spunto dai suoi numerosi viaggi in treno, banalmente perché questo è il mezzo di trasporto da lui scelto per recarsi al lavoro, ci racconta la sua Italia. Nazione in cui è giunto più di trent’anni fa – guarda caso proprio a bordo di un treno – e che poi è divenuta la sua patria, catapultato in quella terra di mezzo comune a molti emigrati che non si sentono del posto ma che non sono più nemmeno stranieri.
Egli infatti così si racconta:
“trent’anni fa ho rinunciato alla mia identità, alla mia britannicità. Sono diventato questo strano ibrido, né qua né là. Fra un posto e l’altro, fra una cultura e l’altra. Riconosciuto ovunque come inglese ma non più davvero inglese.”.
Aiutato e non poco dalla fruizione del mezzo ferroviario, che permette al viaggiatore di non avere la mente concentrata sulle insidie della strada, l’autore è libero di fantasticare, riflettere, osservare, rivolgendo l’attenzione proprio al suo Paese adottivo, che viene studiato, analizzato, valutato utilizzando le Ferrovie dello Stato come parametro, come punto d’osservazione privilegiato.
Ne viene fuori un quadro di disarmante realismo in cui Tim Parks, facilitato da occhi anglosassoni che gli forniscono sufficiente imparzialità e una giusta distanza da storia e ideologia, ripercorre pregi e difetti, valori e disvalori, cadute e successive ascese di un popolo e della sua cultura.
La noiosa routine quotidiana, fatta però anche di gesti semplici, rassicuranti, quasi dolci, come prendere il caffè nel solito bar, leggere in treno, isolarsi per un po’ dai problemi del mondo esterno, non hanno permesso all’autore di rimanere immune da fenomeni quali ritardi, scioperi, cattive condizioni igieniche e inefficienze varie che il Paese tenta invano di nascondere attraverso un’estrema burocratizzazione, a sua volta retaggio di un passato che ha fatto delle Ferrovie sì un mezzo per avvicinare popolazioni facenti parte di una nazione recentemente costituitasi, ma anche uno strumento per politiche clientelari fatte di assunzioni facili (dalla fine dell’Ottocento il sindacato dei ferrovieri fu uno dei più grandi e agguerriti tanto da giocare un ruolo importante nella lotta fra socialismo e fascismo, ma anche dopo la Seconda Guerra Mondiale influenzò molto i governi) e dal mantenimento di prezzi popolari e quindi assolutamente insufficienti a ripagare i costi dei servizi offerti.
“E tutto per quella consacrazione italiana piuttosto bigotta ma sempre ben accetta a un certo socialismo popolare (con il quale com’è ovvio cattolicesimo e fascismo sono strettamente imparentati)”.
Il sarcasmo tipicamente english di Mr. Parks, che si fa intenso pensando agli italiani quale popolo chiassoso nonché eccessivamente legato a luoghi e tradizioni familiari (in fin dei conti un modo diplomatico per dire “mammone”) è accompagnato però anche da una certa rassegnazione, notando l’accondiscendenza italiana per il furbo che salta la fila alla biglietteria, come se rispettare sempre le regole fosse semplicemente inutile e il trasgressore fosse meritevole di una certa “empatia”. Perché in Italia, si sa, non esiste legge inoppugnabile, tutto sembra prestarsi al compromesso, alla rinegoziazione, specie se entra in campo un po’ di “sano” vittimismo.
“Ecco un sentimento italiano importante: mi comporto bene e ne pago le conseguenze. Sono un martire. Mi sto sacrificando. Uno stato d’animo che al momento opportuno servirà a giustificare una cattiva azione”.
Ma è in fondo tutto da buttare il Belpaese? A rispondere di “no” è, sorprendentemente, proprio Tim Parks, il quale corregge un giudizio inequivocabilmente sfavorevole in qualcosa di, almeno in parte, positivo.
Come mai questa trasformazione? Non certo per quel sopra menzionato buonismo spiccatamente italian con cui l’autore, nonostante la sua lunga permanenza nello Stivale, dimostra di non essersi mai contagiato.
A rendere possibile tale mutamento è piuttosto la mera osservazione di una realtà in cui “le cose che si pensava non sarebbero mai cambiate alla fine cambiano.” Qui l’autore si riferisce ad esempio alla diffusione dei treni ad alta velocità, all’introduzione di una maggior tecnologia nell’organizzazione delle Ferrovie e all’apertura (timida) alla concorrenza privata.
Ma l’autore finisce per apprezzare anche il contraltare della velocità dei cambiamenti: quella lentezza che sa di pieno godimento della vita, quell’estrema socialità che fa considerare una risorsa anche una persona incontrata casualmente e che fa accettare l’umanità per quella che realmente è, tutti elementi che Tim Parks ha trovato nel corso di un viaggio in treno lungo un Sud dell’Italia ricco di arte e di storia, a cui l’autore aveva fino a poco tempo prima pensato con un misto di diffidenza e di commiserazione (Tim Parks vive a Verona e lavora a Milano).
Insomma che dire di questo libro? Un elenco di luoghi comuni sull’Italia e sugli italiani e su come costoro sono visti dagli stranieri e raccontati ad altri stranieri? Forse.
Ma, senza dubbio, anche la storia di un cambiamento personale (e non solo d’opinione) avvenuto nel corso di un viaggio che finisce per essere, secondo un tema caro alla letteratura mondiale, non tanto lo spostamento da un luogo ad un altro ma soprattutto un percorso dentro sé stessi.
Può essere quest’opera in fondo anche una dichiarazione d’amore verso l’Italia? Speriamo proprio di sì. Ne avremmo proprio bisogno. Per la nostra autostima, così messa a dura prova negli ultimi anni. Sperando che non sia solo una coincidenza.
Titolo: Coincidenze
Autore: Tim Parks
Bompiani (2014)