Javier Marías si è proclamato Re del regno di Redonda, un’isola disabitata dell’arcipelago delle Antille, insignendo di cariche e titoli nobiliari il fior fiore dell’aristocrazia delle lettere e delle arti. Proclamando Eco, duca dell’isola del giorno prima e Alice Munro, duchessa dell’Ontario. Francis Ford Coppola, duca di Megalópolis e W.G Sebald, duca di Vértigo, ecc. ecc.

Allo stesso modo Filippo Martinez ha fondato l’Università di Aristan, che ha sede proprio nella città-stato di Aristan. Una sorta di istituto anomalo nel mondo. Una sorta di nuovo OuLiPo con cattedre in Francoecicciologia – per la teoria del soprassedere, tenuta dal giornalista Pietrangelo Buttafuoco o Verità – per imparare dal falso, assegnata al critico Fabio Canessa. Michela Murgia è titolare della cattedra di Odio – per tutto quello che non è biodegradabile e lo psicologo Franco Scirpo insegna invece Riso – per ridere sul latte versato. Sono presenti nell’organico anche psiconauti e archivisti dell’oblio.

Lo stesso Martinez, per delinearne meglio il personaggio, è Rettore dell’Università e insegna Regalità Individuale. Purtroppo il 20 luglio 2001 è la data della sua morte ‘indidascalica’ (da non confondersi con la morte ‘didascalica’, che dà lavoro alle pompe funebri). Sulla sua tomba virtuale c’è questa epigrafe: «Trasloco. Vado in quel che faccio e faccio quel che sogno. Sono altrove. Altrove è l’unico posto possibile».

Questa una parte della poesia, “Il mio funerale è stato un disastro”, scritta da Martinez il giorno dopo il suo funerale ‘indidascalico’: «Per cominciare si è pianto poco. Volevo più lacrime. Avrei gradito anche qualche bella scenata isterica da una donna della mia vita. Mia figlia, per esempio; o mia moglie; o qualche mia ex inconsolabile. Qualcuna avrebbe dovuto abbracciare la bara e inondarla di lacrime. Era il minimo».

Ma veniamo a questo “Cammellini che entrano ed escono dalle orecchie”.

Il libro è diviso nettamente in due parti. “Tragedie e fiabe per bambini cattivi” e “Poesie teatrali”. Una nota filologica in appendice del volume ci informa che si tratta di una sorta di antologia. Il meglio del meglio che Martinez ha disseminato in numerosi libri precedenti, alcuni inediti, altri incompiuti, altri ancora apocrifi. Non sappiamo se c’è da fidarci, vista l’aura da mistificatore che avvolge il personaggio, ma per ora sospendiamo la nostra incredulità e ci addentriamo nel libro circospetti, così come si entra in un labirinto. O nella tana del bianco coniglio. Con l’onirico incedere a tentoni dei sonnambuli, le mani tese in avanti, nella penombra cerchiamo di carpire brandelli di significati.

Le tragedie sono liofilizzate e le fiabe un po’ macabre. Si tiene in grande conto della metempsicosi e delle metamorfosi. Specialmente è importante ciò che accade nel gran teatro del cielo, dove le nuvole inscenano tragedie quotidiane di cui nessuno si accorge. Una nuvola coccodrillo ingoia quel signore col cappello e morta lì. Qualcuno ha mai provato a capire cosa significa la filastrocca Amabarabà Cicì e Cocò? Sono i nomi delle tre civette? Tre civette sul comò che facevano l’amore con la figlia del dottore ma il dottore si ammalò Amarabà Cicì e Cocò. Che vuol dire? E il dottore poi è guarito? E sua figlia, dopo l’amplesso, ha sposato almeno una delle civette? Domande di capitale importanza nell’economia dell’universo.

Si aggira il fantasma di J. Rodolfo Wilcock in questo libro. C’è l’entusiasta felicità del raccontare, c’è la fantasia a briglia sciolta che inganna la ragione e la lascia esterrefatta.

Le poesie sono lievi, elegiache, brevi narrazioni teatrali. Compaiono ciclopi siamesi, un Dio trasformista che è solo un bambino abbandonato vicino a un guardaroba, che prova sciarpe e cappelli, guanti e cappotti. Poi compare un Papa ateo che si dimette da Papa (poesia scritta nell’ottobre del 2002, prima che la storia rendesse la poesia meno surreale). Un Papa che ha voglia di dormire con una donna, infastidito dai bambini, dalle suore, dai cardinali e da… Dio. Un Papa che ha perso la fede, malinconico vorrebbe una maglietta con la faccia di Stan Laurel per mimetizzarsi nella folla e tornare bambino, quando la mamma lo chiamava ché la cena era pronta, l’estate stava finendo, le vacanze agli sgoccioli, era ormai tempo di tornare a scuola.

Nota: Il libro ha un sapore ipnotico. L’odore sa di carta e colla, con un lieve retrogusto di coccoina che riporta all’infanzia. Al tatto è gradevole, tenendolo in mano è ruvido al pollice che tocca le pagine e liscio per le altre dita a contatto con la copertina, che visivamente ha gli spigoli stondati, donando sensazione di morbidezza. Da degustarsi ovunque, ma meglio prima o dopo i pasti.

Filippo Martinez
Cammellini che entrano ed escono dalle orecchie
Bompiani, 2015