Partiamo prima di tutto dal piacere di tenere in mano questo libro. Perché il libro è innanzitutto un piacere fisico. E con questo abbiamo già detto tutto a proposito degli ebook. Un piacere fisico che inizia dalla grana della copertina. Di cartone spesso, seppur flessibile. L’Editore Del Vecchio di Roma fa di tutto per rendere questa collana, formebrevi, un qualcosa di prezioso per gli occhi e di piacevole al tatto. Il buongiorno si vede dal mattino, come diceva Gérard Genette in “Seuils”. La copertina è la porta d’ingresso del libro, ne diventa l’insegna e l’intera veste tipografica è l’abito, che spesso fa il monaco. Tenere quindi in mano un libro dall’ottima fattura, curato in tutti i suoi particolari, è sicuramente il miglior viatico alla lettura.
Ben predisposti iniziamo quindi a leggere questo libro.
Roberto Arlt sta vivendo una seconda giovinezza in Italia. Specialmente grazie all’editore SUR, che ha pubblicato quest’anno “Scrittore fallito” e precedentemente il suo capolavoro: “I sette pazzi“. Anche a SUR va un encomio per la curatela dei suoi libri, copertine rigide e colorate, molto pop. Nel suo catalogo è annoverato il fior fiore del florilegio della letteratura latinoamericana: Cortázar, Paz, Bolaño, Onetti, Sabato, Cabrera Infante e Piglia.
A proposito di Ricardo Piglia, proprio Bolaño nei saggi “Tra parentesi” raccolti da Adelphi, sostiene che se Roberto Arlt è Gesù Cristo, Piglia è il suo San Paolo, il fondatore della sua chiesa. Secondo il genio di Bolaño infatti la letteratura argentina alla morte di Borges si divide in tre correnti. La prima è capeggiata da Osvaldo Soriano, la seconda linea letteraria ha inizio con Arlt e la terza. La terza è segreta, ha inizio con Osvaldo Lamborghini ed è continuata dal suo discepolo César Aira.
Sostiene Bolaño: «Se Arlt, che è il migliore dei tre, è lo scantinato della casa della letteratura argentina, e Soriano è il vaso da fiori nella stanza degli ospiti, Lamborghini è una scatoletta sullo scaffale giù in cantina». E Arlt è sicuramente il migliore, coetaneo di Borges, ma completamente diverso da quest’ultimo. «Perché se Arlt è un russo, un personaggio di Dostoevskij, Borges è un inglese, un personaggio di Chesterton o di Shaw o di Stevenson». E anche secondo Onetti «Arlt è il traduttore di Dostoevskij in lunfardo».
Queste Acqueforti di Buenos Aires sono una raccolta di immagini e di percezioni della metamorfosi della capitale argentina in metropoli moderna. Rientrano nella migliore tradizione impressionistica francese. Sono prose brevi di tre, quattro pagine al massimo. Immagini fugaci della città. Bozzetti. Scarabocchi col carboncino, tratteggiati fugacemente per rendere un istante, come ai giorni nostri può fare un’istantanea.
I ragazzi nati vecchi. L’uomo con la canottiera fuori dai pantaloni. Monologo dello scapolone. Lo strabico innamorato. Neanche i cani sono uguali. Appunti filosofici sull’uomo che “se ne frega”. Le ragioni della ginnastica svedese. Una scusa: l’uomo del trombone. Quello che dà sempre ragione. Il parassita allegro. Psicologia semplice dello scocciatore. L’inutilità dei libri. Officina per la riparazione delle bambole. Sono i titoli di alcune acqueforti, e solo leggendoli viene voglia di leggere l’intera raccolta.
In quell’Officina per la riparazione delle bambole, ad esempio, rieccheggia il titolo di un grande autore siciliano dimenticato. Che personalmente metterei insieme a Bufalino e a Sciascia a formare un ideale trittico della trinacria. Sto parlando ovviamente di Antonio Pizzuto e del suo “Si riparano bambole”, che è la propria vita narrata a frammenti, con una prosa gaddiana. Un biografia montata in sequenze cinematografiche, dalla curiosità dell’infanzia, fino alla rassegnazione della vecchiaia.
Non solo mestieri perduti. La metropoli cambia e Arlt si accorge che tutto cambia, anche i nomi delle vie, in una trasformazione radicale la città diventa un’altra. La toponomastica è fondamentale per l’identità di un luogo. «Le vie avevano altri nomi. Rámon Falcón allora si chiamava Unión. Donato Álvarez, Bella Vista. A dieci isolati da Rivadavia iniziava la Pampa». Sembra di aggirarsi in Tamara, una delle “Città invisibili” di Calvino: «Lo sguardo percorre le vie come pagine scritte: la città dice tutto quello che devi pensare, ti fa ripetere il suo discorso, e mentre credi di visitare Tamara non fai che registrare i nomi con cui essa definisce se stessa e tutte le sue parti».
Così Arlt, partendo dalla perdità d’identità di Buenos Aires, compone una grande elegia delle cose perdute. E al tempo stesso immortala i nuovi tipi sociali, i nuovi personaggi metropolitani che prendono possesso dei luoghi. Come il Guardiano della Soglia, con la canottiera fuori dai pantaloni. L’Eterno Disoccupato che filosofeggia mentre la moglie stira. I Ladri Onesti che rubano solo mattoni, calce e sabbia. I Ragazzi Nati Vecchi, sempre seriosi. «Ragazzi di buona famiglia. Ragazzi che dal liceo vanno all’università, e dall’università allo studio, e dallo studio ai tribunali, e dai tribunali a una casa fredda con una moglie onesta, e da una casa fredda con una moglie onesta e un figlio bandito che scrive versi, si trovano infine al cimitero della Chacarita… Perché saranno nati questi uomini seri? Si può sapere? Perché saranno nati questi minorenni pesanti, questi studenti severi? Mistero. Mistero».
Autore: Roberto Arlt
Titolo: Acqueforti di Buenos Aires
Titolo originale: Aguafuertes porteñas
Traduzione:
M. Magliani e A. Prunetti
Editore: Del Vecchio Editore
Anno: 2014