Il rosso della sigaretta accesa spicca nella penombra della stanza: sembra la scena di uno di quei film in bianco e nero di cui si colorano a posteriori singoli dettagli. Lui se la rigira tra le mani mentre le parla. Una frase uno sbuffo; due parole una boccata. Poi riprende.
«Vedi, a mio avviso tradire la moglie è un po’ come andare con dei bambini. Ci sono molte somiglianze. Ad esempio: nel tradimento l’adultera fa di tutto per farsi più giovane agli occhi dell’amante. Non solo vorrebbe mostrare dieci anni in meno, ma vorrebbe tornare all’adolescenza, magari a prima ancora. Quello che conta nel tradimento è la gioventù: lei vuol sembrargli giovane (e per questo si fa bella); lui vuol sentirsi giovane (e per questo sta con una donna nuova, in una situazione nuova, in cui può fare cose diverse dal solito). Tutto ciò li fa regredire: lei torna ad essere la fanciulla bisognosa di conferme, timorosa degli sguardi, eccitata ed impaurita da ogni piccolo vibrare; lui gode dell’insicurezza di lei, della sua immaturità, del suo essere indifesa. E questo scatena l’amorosa violenza del predatore: l’uomo gode dell’amplesso ma anche del possesso (la donna va posseduta), dell’uso sessuale della forza tipicamente maschile (la virilità)».
Lei siede sul divano con la scompostezza naturale di chi non ha avuto la possibilità, la voglia, il tempo di ricevere una buona educazione. Anche se non sembra aver colto il nucleo del ragionamento, continua a guardarlo fumare. E parlare.
«Come con un bambino, il rapporto è ansioso, colpevole, tecnicamente complicato. Si vuole ma non si vorrebbe; fa male dentro, fa male fuori, per la fretta e le circostanze. Ma si continua. Si pensa e si dice: è stato un errore. Una debolezza. Ce lo si ripete l’un l’altro e da soli fino allo sfinimento, fino alla nausea. Fino al prossimo incontro».
«Come con un bambino, è più l’incomprensibile che il conosciuto: lei dice di no, ma in realtà lo sta spronando. Lui dice che è sposato, ma già sta pensando a quando come dove rivederla. Il pedofilo e il traditore sono la feccia della società; entrambi – Dante ne converrebbe – meritano di stare alla radice dell’inferno».
La penombra nella stanza è divenuta buio, difficile individuare i contorni delle cose, arduo distinguere il lungo dal corto, il grande dal piccolo; tutto è uguale. Di fronte al suo monologo, lei non dice una parola. Forse non capisce, non le interessa, non sa cosa aggiungere: magari tutto insieme. Ma del resto il ragionamento è articolato, complesso, anche un po’ contorto. Valle a spiegare ’ste cose a una bambina di quattro anni. Non c’è da avere troppe aspettative. Se non ricercando, nel suo silenzio, il segnale di un invito. Non fanno forse così tutte le donne? Il no vuol dire sì, il basta è ancora, il pianto è gioia. Tutte le donne sono uguali nell’oscuro della sera, in cui tutto si confonde. Alza lo sguardo e non vede che buio. C’è tutta la notte davanti.
Questo racconto è stato scritto da Paolo Calabrò e pubblicato per la prima volta il 4 marzo 2015 da Piego di Libri.
Paolo Calabrò è laureato in scienze dell’informazione (Salerno 1996) e in filosofia (Napoli 2004). Gestisce il sito ufficiale in italiano del filosofo francese Maurice Bellet. Redattore della rivista «Filosofia e nuovi sentieri», collabora con il mensile «Lo Straniero» e con il bimestrale «Testimonianze», con le riviste online «Pagina3» e «AgoraVox.it». Cura le rubriche: “Considerazioni inattuali” per il settimanale «Il Caffè» di Caserta e “Dal testo al contesto” per il mensile «l’Altrapagina» di Città di Castello (PG).