La superiorità della vista sugli altri sensi è uno dei tratti distintivi della cultura occidentale. Questa superiorità è stata ereditata dalla cultura classica. Lo sguardo di Medusa aveva la facoltà di trasformare gli uomini in pietra, e Narciso si innamorò di se stesso semplicemente ammirando il proprio riflesso sull’acqua.

Per l’uomo antico esiste un forte legame tra il vedere e il conoscere: il desiderio della sapienza è indissolubilmente legato alla vista, e solo lo sguardo può soddisfare l’incontenibile prurito della curiosità. Conoscere significa “sapere (ora) per aver visto (in passato)”, dunque “sapere sulla base di una situazione vissuta in passato”. Spesso, tuttavia, la brama di conoscere che nutre l’uomo antico travalica i suoi stessi limiti: l’uomo vuole comprendere più di quanto può sopportare e abbracciare con la vista.

La storia di Edipo raccontata da Sofocle nella tragedia dell’Edipo Re è emblematica. Figlio di Laio, re di Tebe, e di Giocastra, Edipo è soggetto ai capricci del destino e ogni suo volere si piega all’inesorabilità della Fortuna. Cercando di fuggire al responso dell’oracolo, secondo il quale avrebbe ucciso il proprio padre e sposato la propria madre, Edipo è costretto a percorrere la strada voluta dal destino e che cercava inutilmente di cambiare. Anche il suo desiderio di scampare al destino è, quindi, destino esso stesso. Senza saperlo, infatti, Edipo uccide il proprio padre e senza saperlo sposa la propria madre.

Dopo il matrimonio con Giocastra scoppia nella regione una terribile pestilenza, che avrebbe trovato fine, secondo il responso dell’oracolo, solo con l’identificazione e l’esilio dell’assassinio di Laio. Edipo si impegna a trovare il colpevole e inizia il momento fondamentale del processo psicologico dell’eroe sofocleo. Nella ricerca cieca e disperata del colpevole, Edipo arriva alla consapevolezza e “vede” la verità: “ahimé, ora tutto è chiaro! Che io possa vedere per l’ultima volta la luce del sole!”. Subito dopo Edipo, colui che ha risolto l’indovinello della sfinge con la propria intelligenza, colui che indaga le oscurità dell’esistenza, colui che delibera sulla base dell’esperienza, compie un gesto folle e deciso: si strappa gli occhi e denuncia l’incapacità umana di controllare e conoscere il reale.

“O mortali la vostra vita è uguale al nulla! … Non dire felice uomo mortale, prima che abbia varcato il termine della vita senza aver patito dolore”.

Lo sguardo di Edipo è continuamente teso verso un’ebbrezza di distruzione. Non appena i suoi occhi si aprono, egli decide di chiuderli per sempre.

Il legame tra cecità e dono profetico è un altro aspetto interessante della questione. Gli indovini diventavano ciechi proprio per la loro conoscenza superiore o per aver raccontato agli uomini ciò che sapevano. Tiresia, per esempio, fu accecato per volontà di Atena, che aveva visto nuda presso una fonte, ma in seguito alle preghiere della madre ottenne il dono della preveggenza. Anche Omero, il presunto poeta dell’Iliade e dell’Odissea, è rappresentato nei contorni sfumati della leggenda come un vecchio mendico e cieco.

L’uomo sfida gli dei e i suoi stessi limiti, allarga sempre di più il proprio raggio visivo abbandonando le proprie sicurezze e ritrovandosi nel mostruoso caos del mondo. Come afferma Borges:

“Vedere quale vasta forma ha il nostro essere ci annienterebbe. Dio pietoso ci dona l’oblio”.

Vedere, guardare, ammirare, spaziare…e ancora indagare, sciogliere enigmi, ricercare… conoscere… e poi… Il buio e il vuoto? La cecità è uno sguardo che sa comprendere solo il futuro per chi ha ancora gli occhi ma non può conoscere?

Ti sei mai chiesto, Edipo perché gli infelici invecchiandosi accecano?

In copertina “Edipo e la Sfinge” di Gustave Moreau, 1864.