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Seneca e il tempo, Orazio e il carpe diem

Tempo Orazio Seneca

Uno dei principali problemi delle nostre giornate è la mancanza di tempo. Quante volte, svegliandovi la mattina, siete stati presi dall’ansia delle molteplici cose che dovrete fare nel corso della giornata? Ancora peggio se avviene la sera, quando ci si è appena distesi a letto: la testa sul cuscino soffice, il corpo piano a piano si distende e la mente si libera… ma subito le preoccupazioni del giorno dopo soffocano ogni pensiero.

Il mondo moderno è noto per la sua frenesia: il monotono tic-tac delle lancette è diventato il rumore di fondo della nostra vita, il suono che crea nelle orecchie il silenzio assoluto. È un’ossessione, una continua rincorsa di qualcosa che non si raggiunge mai e che ci impedisce di assaporare il momento presente.

Anche in questo caso il mondo antico ci offre le sue perle di saggezza!


Orazio e il carpe diem

Il carpe diem di Orazio è ben noto. Secondo il poeta latino, il tempo scorre inarrestabile e la vita è breve. L’uomo non può conoscere il futuro, che resta imperscrutabile, e non può neanche determinarlo. Nell’impossibilità di fermare il suo flusso continuo e di opporsi alla morte, l’uomo deve afferrare l’attimo, sottraendosi almeno per un istante alla fuga del tempo. Il presente è l’unica cosa su cui l’uomo può esercitare la propria volontà, agendo e godendo dell’attimo.

Tu non domandare – è un male saperlo – quale sia l’ultimo giorno che gli dei, Leuconoe, hanno dato a te ed a me, e non tentare gli oroscopi di Babilonia.

Mentre parliamo, già sarà fuggito il tempo invidioso: cogli il giorno, fidandoti il meno possibile del domani. Quanto è meglio accettare qualunque cosa verrà!

Sia che sia questo inverno – che ora stanca il mare Tirreno sulle opposte scogliere – l’ultimo che Giove ti ha concesso, sia che te ne abbia concessi ancora parecchi, sii saggia, filtra il vino e taglia speranze eccessive, perché breve è il cammino che ci viene concesso.

Seneca e il tempo

Il tempo di Seneca è diverso da quello di Orazio; egli valuta il tempo qualitativamente: la vita non è breve, ma siamo stati noi ad averla resa tale, sprecandola in occupazioni febbrili e dispersive che ci allontanano da noi stessi.

La maggior parte dei mortali, o Paolino, si lamenta per l’avarizia della natura, perché veniamo al mondo per un periodo troppo breve di tempo, perché questi intervalli di tempo a noi concessi scorrono tanto velocemente, tanto rapidamente, al tal punto che, se si fa eccezione per pochissimi, la vita abbandona gli altri proprio mentre si stanno preparando a vivere… Da qui quella famosa esclamazione del più grande fra i medici: “La vita è breve, l’arte (della medicina) è lunga”; … Non abbiamo poco tempo, ma ne abbiamo perso molto. Ci è stata data una vita abbastanza lunga e per il compimento di cose grandissime, se venisse spesa tutta bene; ma quando si perde tra il lusso e la trascuratezza, quando non la si spende per nessuna cosa utile, quando infine ci costringe la necessità suprema, ci accorgiamo che è già passata essa che non capivano che stesse passando. È così: non abbiamo ricevuto una vita breve, ma l’abbiamo resa tale, e non siamo poveri di essa ma prodighi.

Poco più oltre Seneca mostra come l’uomo, sempre ansioso tra i molti impegni, spreca la vita trasformandola in tempo.

“Piccola è la porzione di vita che viviamo”. Infatti tutto lo spazio rimanente non è vita, ma tempo.

Solo in questo modo si può rendere immortale l’attimo. In Dialoghi con Leucò Cesare Pavese scrive:

Immortale è chi accetta l’istante. Chi non conosce più domani. Che cos’è vita eterna se non questo accettare l’istante che viene e l’istante che va? L’ebbrezza, il piacere, la morte non hanno altro scopo.

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