Molte parole in uso al giorno d’oggi derivano da nomi propri di personaggi del mondo passato, che sono diventati, per antonomasia («nome al posto del nome»), espressione di un concetto più generale. Il nome Attila è impiegato per designare tutte le persone aggressive; Casanova è sinonimo di seduttore e libertino; Perpetua, la domestica di don Abbondio nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, è diventata con il tempo la definizione di assistente personale di un sacerdote.
Ecco qui due curiosi esempi tratti dal mondo latino.
Sosia
Tutti conosciamo il significato della parola sosia, non tutti però conoscono la sua origine. Il termine deriva dal nome di un personaggio dell’Amphitruo, una commedia del poeta latino Plauto. Sosia è un servo del generale tebano Anfitrione. Mentre quest’ultimo è in guerra, Giove prende le sue vesti e cerca di conquistarne la moglie Alcmena. Per realizzare il suo piano, Giove chiede aiuto a Mercurio, che prende l’aspetto di Sosia. Improvvisamente tornano a casa i due personaggi reali, Anfitrione e Sosia in persona, e cominciano una serie di equivoci divertenti e brillanti. Sosia giunge davanti al palazzo di Anfitrione e trova un altro se stesso, ovvero il dio Mercurio identico a lui, che convince Sosia di essere il vero Sosia, facendolo dubitare della sua stessa identità (vv. 434-440, trad. V. Faggi).
MERCURIO: E adesso? L’ho dimostrato o no che non sei Sosia?
SOSIA: Tu dici che io non sono io?
MERCURIO: E come potrei non dirlo, se Sosia sono io?
SOSIA: Giuro su Giove che io sono io e non dico il falso.
MERCURIO: E io giuro su Mercurio che Giove non ti crede. Si fida più di me che dei tuoi giuramenti, anche se io non giuro.
SOSIA: E io, allora, chi sono, se non sono Sosia? Te lo domando.
MERCURIO: Quando non vorrò più essere Sosia, siilo pure tu. Ma mentre lo sono io, tu le buschi se non ti togli di mezzo, ignoto figlio di ignoti.
Di fronte all’evidenza delle prove portate da Mercurio e alla violenza dei suoi pugni, Sosia si piega fino a rinunciare alla propria identità. Solo alla fine della commedia Giove svelerà l’inganno e Anfitrione si riconcilierà con la moglie.
C. M. Mariani, La mano ubbidisce all’intelletto, 1983.
Mecenate
La parola mecenate designa per antonomasia un protettore e un benefattore di poeti e artisti. Propriamente, il termine indica il nome proprio di Gaio Cilnio Mecenate (Arezzo 69 a. C. – 8 a.C.), il cavaliere romano consigliere di Augusto e protettore di letterati e artisti. Di nobile famiglia etrusca, si rifiutò di ricoprire alcuna carica pubblica. Dopo la vittoria di Azio (31 a.C.), Mecenate fu sempre vicino al princeps, aderendo al suo programma culturale e politico, anche quando questi si invaghì di sua moglie Terenzia. Amante del lusso e dello sfarzo, nella vita privata era molto dissoluto e assumeva spesso comportamenti esagerati e inusuali.
La grandezza di Mecenate fu quella di organizzare intorno alla corte di Augusto un seguito di artisti e letterati che promuovessero nelle loro opere la politica culturale del princeps, consolidandone il consenso, eternandone la memoria e promuovendone le imprese. Il ruolo di Mecenate fu quello di avvicinare gli intellettuali al princeps, vanificando il pericolo che essi, una volta caduta la repubblica e instaurato il potere di uno solo, si isolassero dallo Stato e dalla vita pubblica. Scrivendo opere di alto valore intellettuale e in sintonia con gli interessi di Augusto, gli intellettuali, raggruppati in un circolo (il “Circolo di Mecenate”, appunto) ricevevano in cambio protezione, tutela e assistenza. Virgilio dedicò a Mecenate le Georgiche e Orazio il primo libro delle Satire, i primi tre delle Odi e il primo delle Epistole.
La traduzione italiana dell’Anfitrione di Plauto è a cura di V. Faggi, tratta da Plauto. Anfitrione-Bacchidi-Menecmi, introduzione e note di M. Rubino, saggio e traduzione dal latino di V. Faggi, Milano: Garzanti 2011.
Immagine di copertina: Mecenate presenta le arti ad Augusto, dipinto di Giambattista Tiepolo, 1743, Hermitage.