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Perché leggiamo secondo C.S. Lewis (l’autore de “Le cronache di Narnia”)

Brain-pickings

“Un libro non è altro che un cuore che batte nel petto di un’altra persona”, ha scritto Rebecca Solnit nei suoi fantastici studi sulla contemplazione della lettura.

Un secolo dopo, Kafka afferma in una lettera memorabile indirizzata a un suo amico d’infanzia che “un libro deve essere l’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi”.

La questione che ruota attorno al potere catartico dei libri sull’animo e sullo spirito umano risale agli antichi riti di meditazione, per arrivare fino alle teorie contemporanee delle quattro funzioni psicologiche della lettura.

Nessuno è però mai riuscito a scrivere sul fascino della letteratura tanto succintamente e perfettamente come C.S. Lewis, (l’autore de “Le cronache di Narnia” ndr) un uomo che ha investito molto nell’autenticità della parola scritta.

Nel suo libro del 1961 “An Experiment in Criticism”, C.S. Lewis esamina l’immenso potere della letteratura di espandere i nostri orizzonti interiori.

Quelli di noi che si considerano dei veri lettori, raramente si accorgono che una gran parte dell’estensione del nostro essere la dobbiamo proprio agli autori che abbiamo letto. E questo lo realizziamo in particolar modo quando parliamo con un amico a cui non piace leggere: può essere una persona piena di bontà e di buon senso, ma castrata da un ambiente piccolo, una dimensione nella quale noi ci sentiamo soffocare. […]

I miei occhi non sono abbastanza per me, devo vedere anche attraverso quelli degli altri. E la realtà, anche se vista attraverso gli occhi di molti, non sarà comunque abbastanza, perché vedrò sempre quello che gli altri hanno creato. Non sarebbero sufficienti nemmeno gli occhi dell’intera umanità. Rimpiango il fatto che le bestie non possano scrivere libri. Apprenderei con gioia come vengono percepite le cose agli occhi di topi e delle api; ancora più con gioia apprenderei del mondo olfattivo e di cosa significano per i cani tutte quelle informazioni ed emozioni di cui quella realtà è pregna.

Oltre che ampliare la visione della nostra realtà, Lewis sostiene che i libri sono in grado anche di gestire e alleviare le pene causate dai sentimenti più soffocanti.

L’esperienza letteraria rimargina la ferita, senza indebolire quel privilegio che possediamo che è la nostra individualità. Ci sono molti altri tipi di esperienze che guariscono, ma annientano l’individualità: i nostri sé si fondono di nuovo e noi veniamo risucchiati ancora una volta in una sub-individualità. Per mezzo della grande letteratura io sono stato mille uomini diversi pur rimanendo me stesso. Come un cielo notturno in un poema greco: lo vedo con una miriade di occhi, ma sono sempre io quello che guarda. Come accade con la preghiera, l’amore, la morale, il sapere, io trascendo me stesso; e mai mi sono sentito così vero come quando questo avviene.

Leggi qui l’articolo originale.

Ecco alcune curiosità sull’autore:

C.S. Lewis nasce il 29 novembre del 1898. Segno zodiacale: sagittario.

C.S. insegna all’Università di Oxford, dove conosce un altro famosissimo autore, J.R.R. Tolkien, con il quale fonda un circolo letterario “The Inklings”.

Molto nota è la saga fantasy pubblicata dall’autore tra il 1950 e il 1956, “Le Cronache di Narnia”. L’amore per le storie fantastiche che coinvolgono gli animali e la natura è una passione che Lewis nutre fin da bambino, quando legge i libri di Bellatrix Potter, altra famosa scrittrice, illustratrice e naturalista britannica.

Nel 1917, a soli 19 anni, Lewis viene chiamato alle armi. Negli anni della Grande Guerra conosce Paddy Moore, al quale promette che, in caso di morte del compagno, si sarebbe preso cura della madre Janie Moore. E così accadde. Esistono diverse opinioni tra i biografi sulla natura della relazione che nasce tra i due negli anni successivi a quelli del fronte. Nonostante la donna avesse 44 anni all’epoca, tra i due c’è una connessione istantanea, vanno anche a vivere insieme dando prova di un’amicizia molto stretta, ma Lewis non fornirà mai ulteriori dettagli sul suo rapporto con questa donna.

Nella sua autobiografia Lewis scrive che i racconti fantastici hanno il potere di trasmettergli una sensazione che lui denomina “Joy”, la stessa che ritroviamo in molte sue opere quando i protagonisti rimangono estasiati di fronte alla manifestazione di assoluto spesso impersonata dalla Natura. Coincidenza vuole che nel 1950 Lewis inizi una relazione epistolare con quella che diventerà sua moglie, Helen Joy Davidman-Gresham.

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