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L’arte del silenzio

Shhh

Il silenzio è il linguaggio di tutte le forti passioni, dell’amore (anche nei momenti dolci) dell’ira, della meraviglia, del timore”, scrisse Leopardi nello Zibaldone.

Quanto è difficile stare in silenzio. La nostra mente riceve tanti stimoli dall’esterno che ci aprono un mondo immenso ma allo stesso tempo ci disorientano e ci sbattono di qua e di là come vagabondi che errano per strade rumorose.

Penso al viaggio e a come impieghiamo il nostro tempo prima di raggiungere la meta… Non si riesce più a osservare un bel panorama dal finestrino senza un po’ di sana musica trash che ci fracassa i timpani.

Penso alla scrittura. Quando a noi aspiranti scrittori viene detto di tagliare, tagliare e ancora tagliare quando scriviamo, sembra ci chiedano di privarci di una parte del corpo, invece che darci un consiglio per dare ritmo e sostanza alle parole.

Lo spazio richiesto dal silenzio viene interpretato come un vuoto da riempire. Non siamo capaci di concederci del tempo. Il tempo per leggere. Il tempo per pensare. Il tempo per capire quanto pensato. Il tempo per elaborare il fatto che, forse, abbiamo pensato una cazzata. E che va bene così.

… Silenzio non significa apatia, mediocrità o assenza di emozioni. Silenzio vuol dire lasciarsi alle spalle il superfluo e riportare a galla i sentimenti più veri e le parole più concrete per esprimerli.

Ci sono scrittori che hanno dedicato al silenzio parole stupende e amare allo stesso tempo. Penso a Calvino e a “Palomar“, romanzo che pubblicò nel 1983. L’autore indaga il tema del silenzio-parola e del ruolo indispensabile delle pause per dare un senso al suono.

Quello che viene riconosciuto come il mondo si presenta ai miei occhi -almeno in parte- già conquistato, colonizzato dalle parole, un mondo che porta su di sé una pesante crosta di discorsi”, disse Calvino.

Anche l’americano Paul Goodman, sociologo, drammaturgo, poeta e psichiatra dedicò alcune pagine della sua ultima opera “Speaking and Language: Defence of Poetry” ai vari significati che può assumere il silenzio. Ne individuò nove. Di seguito una mia traduzione libera di una parte del testo:

Scegliere di parlare o di rimanere il silenzio sono entrambi modi di stare al mondo e per entrambi ci sono diversi gradi di interpretazione. C’è il silenzio muto dell’intorpidimento della mente e dell’apatia, c’è il silenzio distaccato che accompagna la solennità di un volto animale; c’è il silenzio fertile della consapevolezza, che nutre l’anima e lascia spazio a nuovi pensieri; il silenzio che precede l’azione, il silenzio musicale che ci culla mentre siamo assorti; il silenzio che dedichiamo a chi ascoltiamo per incoraggiarlo a dare un senso alle sue parole; il silenzio del risentimento e dell’auto commiserazione, assordante ma reticente nell’esprimersi; il silenzio dello stupore, il silenzio della pace dei sensi che condividiamo con una persona o con il cosmo.

George Prochnik, autore di “In pursuit of silence: Listening for meaning in a world of noise”, rivisita il significato della parola “silenzio” nella sua accezione etimologica per spiegare che l’idea di silenzio è collegata anche alla resa e alla sensazione di abbandono:

Stare in silenzio significa arrendersi nel bel mezzo della caccia e abbandonare ogni sforzo volto a imporre la nostra visione del mondo. Non è soltanto questione di rimanere inermi; con rare eccezioni, lo scopo del silenzio è di fare un passo indietro nei confronti di una vita accecata dalla polemica. La nostra cultura ci ha insegnato a colmare i vuoti così bene che riusciamo a far di tutto fuorché eliminarli sul serio. Viviamo in un’era incessante, dove ogni cosa è già stata udita e dimenticata.

A questo punto, immagino non ci sia altro da aggiungere.

 

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