Chi l’ha detto che la punta della penna più affilata è quella dei critici letterari?
Come ha dichiarato in un’intervista Jonhatan Galassi, presidente di Farrar, Straus & Giroux, la più prestigiosa casa editrice americana, il ruolo del critico sta scomparendo; ai lettori poco interessa cosa ne pensano le personalità di spicco del giornalismo. La rivelazione di quest’autunno? Mah! Bestseller più, bestseller meno, non si sa come, ma si danno tutti appuntamento lì, in quel posto, come si chiama… Ah sì, ai primi posti della classifica dei libri più venduti!
Vabbè. In fondo i lettori non hanno bisogno di Harold Bloom per capire che Grey è ‘na schifezza. Ci arrivano da soli. Poi lo comprano lo stesso. Ma quella è un’altra storia…
Le recensioni hanno ancora il loro peso, ma solo se l’intento di chi le scrive è quello di guidare i lettori verso il libro in grado di soddisfare le loro aspettative. Il pezzo del critico che mira soltanto a demolire l’autore dura quanto un trend di Twitter: un giorno o forse due.
Che poi a insultare ci vuole maestria: fervida immaginazione, buona proprietà di linguaggio e feroce empatia che permette di scavare nella personalità altrui. A pensarci bene, sono abilità che appartengono più allo scrittore che al critico.
Secondo un articolo della BBC, infatti, gli scrittori dovrebbero guardarsi bene dai loro colleghi più che dai critici. E qui torniamo al titolo: chi disse a George Sand che era una mucca piena di inchiostro? Il conoscente Gustave Flaubert, il quale non sembra essere stato l’unico del panorama letterario ad aver apprezzato le metafore legate al mondo animale. Robert Louis Stevenson definì Walt Whitman
“un enorme cane peloso capace soltanto di rovistare con foga in tutte le spiagge possibili e di abbaiare al chiaro di luna”.
Alcune di queste frasi sono così esilaranti che, come nel caso delle citazioni, nutro seri dubbi sul fatto che corrispondano al vero. Come quello che disse Mark Twain a proposito di Jane Austen:
“Ogni volta che leggo Orgoglio e Pregiudizio vorrei esumare il suo cadavere e usare il suo stinco per frantumarle il cranio”.
Che Twain non fosse proprio un fan della Austen si sapeva, mentre non mi aspettavo da parte di George Bernard Shaw tutto quest’odio nei confronti del bardo:
“Con la sola eccezione di Omero, non c’è nessuno scrittore illustre, nemmeno Sir Walter Scott, che io disprezzi interamente così come disprezzo Shakespeare. L’intensità della mia impazienza alcune volte raggiunge un livello così improponibile che vorrei esumare la sua salma soltanto per lapidarlo”.
All’origine di queste colorite considerazioni si nascondono invidia, snobismo disgusto e presunzione. Prendiamo come esempio le parole che pronunciò Henry James parlando di Henry David Toureau, l’autore de Il ritratto di signora, che descrisse l’autore di Walden come
“pieno di difetti, incompleto, poco artistico; era peggio di un provinciale, un parrocchiano”.
Ci si può odiare anche quando si fa parte della stessa corrente letteraria. Virginia Woolf descrisse l’Ulisse di James Joyce come un libro:
“poco colto e rozzo. Un romanzo che racconta di un uomo della working class artefice della propria fortuna… E tutti noi sappiamo come questi uomini possano essere angoscianti, egoisti, insistenti, grezzi e nauseanti”.
Capote e Faulkner si conoscevano in maniera così approfondita che il primo descrisse il secondo come
“un mio grande amico, anche se da lui non sono mai stato considerato tale, poiché non assomigliavo per niente a una ragazzina di 14 anni”.
Quando gli insulti acquistavano un velo di serietà, eccoli trasformarsi in critiche riguardanti lo stile dei colleghi scrittori. Di Hemingway, Faulkner scrisse che l’autore
“non era mai stato capace di usare una parola che costringesse il lettore a consultare il vocabolario”.
Hemingway replicò che non è dai paroloni che scaturiscono le vere emozioni. Dichiarò inoltre di essere capace di capire a che punto della stesura il collega aveva iniziato a bere il primo drink del giorno.
Secondo Norman Mailer, il ritmo dei romanzi di Kerouac è
“incostante, la profilazione dei personaggi è nulla e lui è presuntuoso come una puttana arricchita, sentimentale come un lecca-lecca”.
Insomma, con l’ego degli scrittori non c’è da scherzare. Se, poi, li si paragona ad alcuni colleghi per i quali non nutrono una grande stima, non c’è scampo. Aspettatevi una frecciatina in stile Oscar Wilde.
“Ci sono due modi per rendere la poesia odiosa; la prima è detestandola, la seconda è leggendo Pope”.
2 commenti
Grazie Marco! E nemmeno io sopporto il buonismo! 😉
Divertentissimo questo articolo! Chissà perché ci provo sempre gusto quando gli artisti si criticano con cattiveria (anche nella musica)! Il buonismo non mi diverte. E Wilde come sempre è insuperabile. 🙂