“I nemici dei buoni libri e del buongusto non sono comunque coloro che disprezzano i libri, ma chi legge di tutto”, Hermann Hesse.
Tutto è iniziato quando nella sezione “Libri” del mio profilo Facebook mi è stato chiesto se avessi letto o meno “Cinquanta Sfumature di Grigio”. Dopo aver cliccato “No”, sono comparsi automaticamente sulla schermata altri due suggerimenti di lettura: “Twilight” e “Eclipse”.
Nell’era dei social network che fungono da strumenti di marketing, delle auto-pubblicazioni su Amazon, del disagio letterario presente sia nel mondo dei ragazzi che in quello degli adulti – 1 famiglia italiana su 10 non possiede nemmeno un libro – è diventato sempre più difficile dare una definizione a quella capacità di apprezzare un libro magistralmente scritto, ovvero al gusto letterario.
In un’interessante rubrica domenicale che esce sulla versione online del New York Times, “Bookends”, 15 editorialisti rispondono a una domanda inerente alla sfera letteraria. In un articolo del 24 settembre dell’anno che ci siamo appena lasciati alle spalle, viene domandato a James Parker (The Atlantic, Slate, Boston Magazine, Boston Phoenix) e a Adam Kirsch (The New Republic, Tablet, autore del romanzo “Why Trilling Matters”) che ruolo giochi secondo loro il cosiddetto “gusto letterario” quando ci si ritrova a parlare di libri.
“Il buon gusto (letterario, ndr) deve prevalere su quello personale. È un’eredità, una statua invisibile, un millennio di piccole scelte ricercate e ora radicate nelle fibre del nostro cervello”, dichiara Parker.
“Il cattivo gusto (letterario, ndr) non è un difetto, quanto la decisione di non superare i limiti posti da quello che già conosciamo e che apprezziamo”, scrive invece Kirsch, raccontando un aneddoto di un esperimento in cui a 57 uomini e donne è stato chiesto di assaggiare due tipi di vini differenti, uno dal valore di mille dollari a bottiglia e uno mediocre. I degustatori hanno ovviamente tessuto le lodi di quello costoso ed espresso un giudizio negativo sull’altro, senza sapere che le due bottiglie non erano altro che lo stesso Bordeaux al quale era stata cambiata l’etichetta.
“Quello che vediamo o quello che ci viene detto conta di più di quello che rileva il nostro gusto personale”, sottolinea Kirsch.
Significa quindi che “Cinquanta Sfumature di Grigio” sia da annoverare nella categoria dei classici della letteratura erotica contemporanea?
Rispondo ponendovi un’altra domanda: al giorno d’oggi esiste ancora la differenza tra buono e cattivo gusto letterario?
Sempre Kirsch scrive: “Il buon gusto, nel vino così come nella letteratura, sembra essere diventato una chimera”.
Certo, acquisire il buon gusto in materia di libri è possibile se si riceve una buona educazione letteraria, insieme a un’abbondante dose di perseveranza e curiosità nell’andare oltre i propri orizzonti ed esplorare quelli che sono i Grandi Classici.
La triste realtà, però, vuole ahimè che in una società non educata alla lettura, queste opzioni di scelta improntate ai classici non sussistano: per una madre ritrovarsi con un figlio o una figlia che legge un libro dall’inizio alla fine – sia questo l’ultimo di Stephenie Meyer o quello del nuovo Premio Campiello – è già un motivo valido per accendere un cero e ringraziare Sant’Antonio.
Questo è però un altro discorso che richiederebbe un articolo a parte.
Per ritornare al tema di oggi, Maria Popova, autrice del sito Brain Pickings, in un articolo parla di Joseph Brodsky e dei suoi consigli per affinare il proprio gusto letterario. Il poeta e saggista russo e americano scrive in un’antologia di saggi, intitolata “On Grief and Reasons”, che “un modo per coltivare il buon gusto letterario è leggere poesia […] La poesia, forma d’arte suprema della locuzione verbale, non rappresenta soltanto il mezzo più conciso e denso di concepire l’esperienza umana, ma offre inoltre degli standard elevati da prendere come punto di riferimento per dar vita a una qualsiasi forma di operazione linguistica, specialmente se in forma scritta”.
“Uno stile ricercato nella prosa è sempre ostaggio della precisione, velocità e intensa sinteticità del linguaggio poetico”.
Quanti di voi se l’aspettavano?
Sembra un percorso tutto in salita, anche per quelli che, leggendo Joyce, Proust e Tolstoj, pensavano di sentirsi in una botte di ferro.
Per coloro che intendono intraprendere questo sentiero tortuoso – ma affascinante – della poesia per affinare il proprio gusto letterario, Brodsky consiglia ai lettori italiani di leggere Quasimodo, Saba, Ungaretti e Montale, poeti che, ha lui stesso dichiarato, hanno influenzato la sua vita in maniera cruciale.
Non mi resta quindi che augurarvi, come sempre, buona lettura!
2 commenti
Penso che il collegamento con il vino non sia peregrino. Io la metterei così. Un grande intenditore di vini, fuor di metafora di letteratura, sa distinguere tra un buon vino e un vino mediocre. Non solo. E’ l’unico che sa apprezzare un grande vino. Chi è abituato a vini mediocri non saprà gustare a fondo un vino superiore. Anche in letteratura chi è abituato a una certa qualità è il solo che può apprezzare certi capolavori e coglierne le sottiglienze fino in fondo. Chi è abituato a cinquanta sfumature di letteratura usa e getta, quella che tra qui a cinque o sei anni non ricorderemo neanche cosa fosse, continuerà a navigare nel mare della mediocrità. Non sono un pedagogo. Eppure penso che il buon gusto si possa acquisire. Leggendo certi libri e ovviamente poesia. Così come ci sono corsi per sommelier, penso che si possa acquisire un po’ di buon gusto in fatto di libri. Ma è un percorso impervio e faticoso. Perché probabilmente a livello di struttura della narrazione, di sintassi e organizzazione temporale dei piani narrativi ecc. è più difficile leggere “Sotto il vulcano” che non Fabio Volo. Ma così come si arriva in cima a una grande vetta, invece che su di una collinetta, vuoi mettere il godimento e la soddisfazione?
Gli americani sono perennemente alla ricerca di standard, ma volerlo definire all’interno dell’arte è un nonsense.
Generalizzare è impossibile, parlare di buongusto letterario e “buon libro” è forse un po’ snob. Dovremmo anzitutto definire il concetto di “letteratura” e chiederci quali sono i criteri per farvi entrare uno scritto. Stampa scandalistica, fumetti, chick-lit… cosa vogliamo definire letteratura? Ci sono dei gran cervelloni che ancora si chiedono dove sono i confini, ma questo resterà solo un esercizio mentale.
Dovremmo anche considerare i diversi generi. Parlando di libri direi di stare nella prosa e lì distinguiamo tra saggistica, didattica, narrativa, eccetera.
Nella narrativa s’incontrano l’autore e il lettore: l’apporto dei due crea la storia. Il lettore deve portare la sua esperienza di vita, la sua cultura, la sua capacità emotiva ed empatica. Lo scrittore, se sa fare il suo lavoro, crea la struttura letteraria dentro la quale far muovere la psiche del lettore scavandogli nell’inconscio. Lo scrittore migliore è quello che sa creare strutture dentro le quali si possano muovere i lettori di un’ampia fascia d’età, cultura ed esperienza. Ognuno avrà un’impressione diversa, ma ognuno avrà trovato qualcosa che l’ha costretto a restare fino alla fine. I grandi classici si leggono e rileggono varie volte nella vita, e ogni volta se ne ricava una sensazione diversa, proprio perché la psiche si è modificata nel tempo, l’esperienza accresciuta. Questo è frutto del normale funzionamento del cervello umano.
Mi chiedo che esperienza debba portare il lettore di “Cinquanta sfumature di grigio” per essere trascinato sino all’ultima pagina. Non so se ci sono già passata quando avevo dodici anni o se invece è uno stadio al quale devo ancora accedere.
Concordo sull’utilità di leggere poesia, più per gli scrittori che per i lettori: insegna a usare le parole e, soprattutto, a non usarle.