C’è del marcio in Danimarca. Così come c’è una vena aurea a Danzica. Oro che riverbera e lascia una scia. Una vena lucente che illumina la scrittura di Paweł Huelle. La stessa, rilucente luminosità, che ritroviamo in Günter Grass.
Infatti c’è molto del Gatto e topo in Cognome e nome Weiser Dawidek.
Sarà forse per l’ambientazione estiva. Perché i protagonisti sono un gruppo di ragazzi che seguiamo durante l’estate del loro scontento. Per la presenza di un’unica ragazza. Là Tulla. Qua Elka. Che catalizza l’attenzione erotica del gruppo. Ma con una grande differenza: se in Gatto e topo il mare è fondamentale, elemento naturale nel quale sguazza Joachim Mahlke. In Cognome e nome Weiser Dawidek il mare è inagibile.
Siamo infatti nella torrida estate del 1957 e una morìa di pesci infesta le acque. Migliaia di spinarelli, galleggianti a pancia in su, dondolano pigramente al ritmo delle onde, formando una fascia di carogne larga diversi metri e destinata ad allargarsi a macchia d’olio. Così è che nei giorni seguenti a questa tragica scoperta la zuppa s’infittisce, diventando una pappa puzzolente e collosa.
Fenomeno che accadde davvero, potete crederci, testimoniato dagli strilli dei giornali dell’epoca.
Niente bagno allora. Niente monotona estate al mare. Bisogna abbandonare le spiagge e Huelle, allora, dirige le sue imbelli truppe verso altri sentieri. Verso più fascinose scoperte. Attraverso ben più fitti boschi narrativi. Verso altri, più drammatici destini.
Prima scoperta del gruppo sarà appunto Weiser Dawidek: il ragazzino ebreo. Quello diverso. Quello che non seguiva la processione del Corpus Domini di quel torrido mezzogiorno di fine giugno. Ma che comparve misteriosamente da uno sbuffo d’incenso del turibolo. Ed è subito miracolo. Un’aura cristologica che attornerà Weiser fino all’ultimo.
Perfino nei suoi miracoli puerili. Nelle sue magie al tempo stesso dinamitarde e lievi: quali far deflagrare ordigni inesplosi della II guerra mondiale. E levitare come un fachiro, tra illusione e delusione.
Weiser assomiglia a Carl Barrington (chi è costui?). Come chi è costui? Il bambino protagonista del racconto L’integrazione segreta, ovviamente, compreso nella celebre raccolta Entropia di Thomas Pynchon.
Come Carl Barrington, anche Weiser Dawidek è ugualmente inafferrabile. Fatti entrambi della stessa sostanza con cui sono fatti i sogni. Ed entrambi sono accomunati dallo stesso destino: non poter essere dimenticati e divenire leggenda.
Il narratore, Heller, è infatti uno dei bambini della banda di Weiser e nella sua maturità compie un doppio salto all’indietro. Ritorna nella scuola della sua infanzia dove Il Preside, l’insegnante di Scienze M-ski e una guardia hanno aperto un’inchiesta per investigare sulla misteriosa scomparsa di Weiser e di Elka. E da lì, da quella notte di interrogatori, ripercorre a ritroso, passo dopo passo, le meravigliose avventure di quella magica estate. Ancora e sempre, a distanza di anni, non riuscendo bene a distinguere tra verità e immaginazione. Tra sogni e realtà.
È successo davvero che ai margini del piccolo aeroporto Weiser ed Elka si fossero sdraiati mano nella mano? Non per giocare al dottore. Ma per alzare ogni tanto la testa per scorgere l’arrivo dell’argenteo Iliuscin 14. Che passò a pochi metri da loro, mentre gli altri ragazzini li spiavano, ipnotizzati da quel punto scuro tra le gambe di Elka. Nero triangolo mistico. Quando il suo vestito rosso, al passaggio ravvicinato dell’aereo, fu risucchiato dallo spostamento d’aria…
Ed è successo davvero che allo zoo di Oliwa, Weiser si fermasse davanti al recinto della pantera nera? Oltrepassando la sbarra che lo separava dalla gabbia e andandole così vicino che, chinandosi appena d’un passo, avrebbe toccato con la fronte le unghie del felino. Restando a fissare a lungo negli occhi la pantera, finchè questa da irrequieta qual era, si trasformò in un docile gattino…
Ed è successo davvero che Weiser trovasse delle armi vere? Tre Schmeiser tedeschi, una pistola mitragliatrice russa, due parabellum e due Nagant si disse, dimenticate in un deposito fuorimano. E che con quelle si mettessero a giocare alla guerra con gli altri ragazzini e a sparare a improvvisate sagome di cartone raffiguranti il professor M-Ski, con un grosso paio di baffi spioventi…
Ed è successo davvero che riuscissero a salvare dal linciaggio Aligialle? Il matto del paese, che ogni tanto si appendeva alla fune delle campane scampanando una sua irrituale contro-preghiera e scompaginando le ore canoniche della liturgia. E che quella volta si inerpicasse su di un tetto spiovente lungo il cavo del parafulmine e da lassù cominciasse a predicare l’Apocalisse e Punizioni Divine e Diluvi Universali e Torri di Babele. Finchè il prete, Don Dudak, non gli aizzò contro il sagrestano e i suoi fedeli e un nugolo di beghine nerovestite. Finchè i ragazzi della banda di Weiser, divertiti da Aligialle, non aprirono una cripta del cimitero e lo nascosero per giorni. Mentre poliziotti e inservienti del manicomio inutilmente lo cercavano in ogni dove…
Miracoli di un’estate magica.
E magico è anche il momento in cui Heller, impossibilitato di confrontarsi con gli altri membri della banda, si reca da Elka.
Perché Swymec vive in un’altra città e ha preferito dimenticare quella magica estate.
Piotr è stato ammazzato in strada nel 1970 (ma ciò nonostante è il più loquace, si lascia andare volentieri a fare due chiacchiere quando recandosi a trovarlo dove giace, nel quinto vialetto del cimitero di Srebrzysko, Heller lo interroga per placare i suoi dubbi. Ma le sue sono risposte un po’ fumose. Sibilline. Come se avendo perso il suo corpo avesse perso sostanza. E da anima vagula, blandula, traligna in sottili battute di spirito).
E allora non resta che andare da Elka, emigrata in Germania, da dove non manda notizie e non risponde alle lettere. E così. Come l’aereo planava su di lei bambina. Sdraiata in una macchia di ginestre che odorava di mandorle, iniziandola ai piaceri erotici dell’attrazione sessuale. Così anche il nostro testimone oculare, Heller, plana su di lei, in una pagina pregna di una straordinaria poesia erotica, declinata per metafore. Degna da sola di valere la per altro piacevolissima lettura del romanzo.
Romanzo poliziesco se vogliamo. Thriller intriso di suspence. Per quell’enigma che con l’andar degli anni attanaglia chiunque. Per cui ad un certo punto, man mano che la fine si avvicina, che il filo che lega i ricordi si assottiglia. Ci chiediamo anche noi: dove è finita la nostra infanzia?
Quando è finita? Chi l’ha ammazzata?
P.s. Scusate per la lunghezza della recensione, se avessi avuto più tempo l’avrei scritta più breve.
Paweł Huelle
Cognome e nome Weiser Dawidek
Weiser Dawidek
Traduzione di Vera Verdiani
Feltrinelli, 1990