Marco Balzano ha vinto il Premio Campiello 2015 con L’Ultimo arrivato (Sellerio), romanzo che presenta il fenomeno della migrazione infantile negli anni Cinquanta attraverso gli occhi di un bambino di nove anni. Dopo la recensione del libro, Piego di Libri intervista l’autore, che ci racconta di sé, del Campiello, degli scrittori emergenti di oggi e tanto altro.

Com’è cambiata la tua vita dopo aver vinto il Premio Campiello?

Non credo che un premio cambi la vita, però senz’altro il Campiello catalizza molte attenzioni e suscita molto interesse, dunque ho ricevuto e ricevo moltissimi inviti e passo molto del mio tempo in giro per l’Italia.

Come nasce L’Ultimo arrivato?

Il romanzo nasce dall’idea di parlare di un tema poco noto come l’emigrazione infantile e minorile e dall’entusiasmo di poter incontrare i protagonisti di quella pagina poco raccontata della nostra storia recente. Volevo affiancare quella memoria – dolente, trascurata, interessante – con le migrazioni del nostro presente. Affiancarle non per assimilarne ma per metterne in luce la comune necessità che anima ogni spostamento dell’uomo sulla terra: la legittima ricerca di una possibile felicità.

Si dice tu abbia esordito nel mondo della scrittura nel 2007: ti senti più scrittore o professore? Come riesci a combinare le due professioni?

Si dice una cosa giusta. Il mio primo libro è una raccolta di poesie intitolata Particolari in controsenso, a cui ne è seguita un’altra nel 2012 che si intitola Mezze verità, che è il libro a cui sono più legato. Io non mi sento né più scrittore né più professore, che fra parentesi è una parola che non amo affatto. Non c’è nulla da conciliare perché queste due professioni vivono in assoluta armonia. Entrambe hanno in comune un senso di forte responsabilità verso la parole e l’esigenza di condividerla perché possa acquistare un vero senso compiuto.

Raccontaci l’esperienza più emozionante del tour per il Premio Campiello e quella più estenuante.

Io amo viaggiare e il Premio Campiello ti permette di incontrare molti lettori in posti incantevoli, questo è un grande dono e una grande fortuna. L’unica cosa estenuante (ma forse l’aggettivo è eccessivo) era la mancanza di mia figlia Caterina.

L’Ultimo Arrivato è frutto anche di ricerche e interviste che hai condotto sul fenomeno dell’emigrazione infantile dal nord al sud Italia, tra il 1959 e il 1962. Quanto tempo hai impiegato a scrivere il romanzo?

Due anni. Io scrivo abbastanza in fretta, ma riscrivo molto lentamente.

Quali sono gli autori che hanno influenzato il tuo stile?

Dovrei farti un lungo elenco e sarebbe comunque incompleto. Un libro che ho tenuto molto presente scrivendo è La vita davanti a sé di Romain Gary.

In quanto professore, sei costantemente a contatto con gli adolescenti di oggi: qual è la formula vincente per appassionare i ragazzi alla lettura?

Formule in questo lavoro non ne esistono. Io non ho nessuna paura ad obbligarli, perché non sempre sappiamo cogliere immediatamente il senso di quel che facciamo. Di solito dall’obbligo si passa poi al piacere e, in molti casi, si crea un rapporto spontaneo tra lo studente e la lettura.

Cosa ne pensi degli scrittori italiani emergenti di oggi?

Penso che la narrativa italiana stia vivendo un buon momento, ci sono molti lavori interessanti. Come al solito è faticoso, con tutti i libri che escono, stare dietro a un mercato ipertrofico, ma buoni romanzi non mancano affatto.

Infine la domanda di routine: qual è il libro che hai sul comodino in questo momento?

Il diario degli errori di Ennio Flaiano.