Questa prima pubblicazione nella collana Letteratura dell’editore Giometti & Antonello è un esordio che diventa manifesto programmatico. Sentiamo cosa dice Roberto Calasso in L’editoria come genere letterario, secondo capitolo del suo L’impronta dell’editore (Adelphi, 2013):
Aldo Manuzio e Kurt Wolff non fecero nulla di sostanzialmente differente, a distanza di quattrocento anni l’uno dall’altro. Di fatto praticavano la stessa arte dell’editoria – benché quest’arte possa passare inosservata agli occhi dei più, editori inclusi. E quest’arte può essere giudicata in entrambi i casi con gli stessi criteri, il primo e l’ultimo dei quali e la forma: la capacità di dare forma a una pluralità di libri come se essi fossero i capitoli di un unico libro. E tutto ciò avendo cura – una cura appassionata e ossessiva – della veste di ogni volume, del modo in cui esso viene presentato. E infine anche – e non è certo di il punto di minore importanza – di come quel libro può essere venduto al più alto numero di lettori
Così con questa prima traduzione italiana delle Memorie di un editore si apre l’esperienza di una nuova casa editrice, che mette insieme le esperienze di Gino Giometti, già cofondatore della casa editrice maceratese Quodlibet, e Danny Antonello, creatore e animatore della libreria antiquaria Scaramouche, sempre di Macerata.
Non a caso la casa editrice esordisce con questo libro di Kurt Wolff che, con il suo lavoro editoriale (che annovera tra i suoi autori Kafka, Trakl, Walser e Kraus), aprì a suo tempo alcuni percorsi essenziali e imprescindibili per tutta la successiva cultura del Novecento.
La prima edizione di questo libro fu anche, nel 1965, la prima pubblicazione della casa editrice Klaus Wagenbach di Berlino. E in questa edizione Giometti & Antonello è inserita la prima prefazione dell’edizione berlinese, per sottolineare la catena di filiazioni, e da quale sorgente e successivo fiume letterario si sfoci infine a Macerata nel 2016…
Entrare in questo libro è come entrare in una matrioska, perché in un gioco di scatole cinesi l’introduzione dell’edizione del 1965, riportata in esergo a questa stessa edizione, non è che un frammento dell’opera di Kurt Wolff che, per la sua apoditticità, si può considerare come la professione di fede di un editore. Un piccolo editore che mette in gioco la sua passione e la sua professionalità per contrapporsi ai grandi gruppi editoriali.
Kurt Wolff sottolinea il fatto che i libri dei grandi autori non siano usciti presso imprese editoriali gigantesche, e i movimenti letterari importanti furono sostenuti e sviluppati da piccole case editoriali in cui contava maggiormente il peso individuale dell’editore. Ad esempio Proust, Gide, Valéry, non vennero pubblicati da Hachette, né Hemingway o Ezra Pound da un grande gruppo editoriale americano.
«Un autore si affida a una persona da cui si sente capito, non al direttorio di una società, ovvero di un’entità cui in francese è riservato il titolo assai pregnante di Societé Anonyme. L’editore non è anonimo, ma sinonimo della sua attività»
Ecco allora i princìpi di Kurt Wolff, l’umanità e la passione prima delle tirature e dell’ammontare degli anticipi, che divennero i princìpi della casa editrice Berlinese Klaus Wagenbach e che sono oggi riproposti dalla Giometti & Antonello di Macerata:
L’autore, infine, non si seduce soltanto con banchetti, cocktail, o alti anticipi. Quel che egli cerca è un essere umano con cui entrare in risonanza e che riveli una sottile capacità d’immedesimazione; uno che si occupi della sua opera, che quando esprime una critica o un elogio per lui abbia un peso, di cui percepisca un’autentica partecipazione al suo futuro di scrittore (ma ovviamente anche al suo presente reale e terreno). Gli autori hanno l’udito fine e non li inganni: capiscono in pochi minuti se l’editore con cui trattano e si consultano ha realmente familiarità con la loro opera, l’ha guardata solo superficialmente oppure non ha visto altro che la relazione di un consulente
Detto questo una recensione a parte meriterebbe il solo capitolo dedicato a Franz Kafka, in cui affiorano e si evidenziano tutte le idiosincrasie dell’autore che non voleva che i suoi testi fossero pubblicati, e non lo sarebbero stati senza l’intervento di Max Brod e appunto dell’editore Kurt Wolff, che insistette per avere da Kafka dei testi per la stampa, ottenendo inizialmente come risposta:
Le sarò sempre molto più grato per la restituzione dei miei manoscritti che per la loro pubblicazione
In vita Kafka ebbe ben pochi riconoscimenti, lo stesso Robert Musil non ne intuì il genio e parlò di vuoto e nullità dei racconti kafkiani. Ma Kurt Wolff ricorda anche coloro che prima di tutti riconobbero il genio di Kafka dalle poche cose fin lì pubblicate dalla sua casa editrice:
Sucessivamente Thomas Mann e Hermann Hesse riconobbero per primi l’unicità, la straordinarietà del genio di Kafka. Hesse coniò la bella espressione: «sovrano occulto della lingua tedesca». E nel 1922 Rilke mi scrive da Muzot: «Non ho mai letto una riga di questo autore che non mi riguardasse o sorprendesse nel modo più singolare». Questo era un anno e mezzo prima della morte di Kafka
Insomma un libro da leggere per capire, come dice Calasso, paragonando Aldo Manuzio a Kurt Wolff, cosa c’è dietro l’arte dell’editoria, quale impresa culturale possa essere o diventare se prima del profitto si mette la cura – una cura appassionata e ossessiva – del Libro, con la maiuscola e tutti gli annessi e connessi e i segreti editoriali che ci svela Kurt Wolff, editore per antonomasia.
P.s. Dopo questa pubblicazione il catalogo Giometti & Antonello sta prendendo forma con l’edizione del Finnegans Wake tradotto da J. Rodolfo Wilcock; Il saggio-pamphlet-manifesto Kn di Carlo Belli e Il libro di un pazzo di Giovanni Antonelli, di cui si occupò anche Cesare Lombroso e la cui ultima edizione risaliva al 1893.
Kurt Wolff
Memorie di un editore
Autoren, Bücher, Abenteuer. Beobachtungen und Erinnerungen eines Verlegers
Traduzione di Manlio Mosella
Giometti & Antonello, 2016