Raccontare l’Africa, la migrazione, le difficoltà legate all’integrazione a un pubblico occidentale, senza adottare una prospettiva buonista o un tono accusatorio, non è semplice. Eppure NoViolet Bulawayo, giovane scrittrice zimbabwese emigrata in America a diciassette anni per frequentare l’università, riesce in questo suo romanzo d’esordio a presentare un quadro realista e a far riflettere il lettore, senza tuttavia penalizzare il piacere della lettura.
Darling ha dieci anni e vive con la madre e la nonna a Paradise, sobborgo zimbabwese i cui contorni ricordano le baraccopoli, e trascorre le sue giornate giocando ed esplorando la città insieme al suo gruppetto di amici, sognando l’America. La protagonista di questo romanzo è un’osservatrice intelligente, attenta e acuta. Attraverso i suoi occhi e la sua voce ci vengono presentati, come in un susseguirsi di tableau, molteplici aspetti dello Zimbabwe attuale: un paese in crisi, che ha dimenticato i sogni e i buoni propositi del periodo successivo all’indipendenza. Al suo sguardo non sfugge nulla: la ragazza africana ricca tornata dall’Europa, entusiasta di scattare foto ai ragazzini poveri, gli operatori delle ONG che arrivano a Paradise con i loro convogli pieni di giochi, anche loro ossessionati dal fotografare, la fede che alcuni abitanti nutrono in Dio e soprattutto nel predicatore.
Nella seconda parte del libro, Darling si trasferisce negli Stati Uniti, ospite della zia, e la seguiamo lungo l’adolescenza, nel suo percorso di crescita personale, creazione della propria identità e confronto con i mondi che abita o ha abitato: lo Zimbabwe in cui è cresciuta, l’America in cui è emigrata e quell’universo proprio del migrante, quel luogo-non luogo a metà fra due mondi.
“Quando qualcuno parla di casa, per capire esattamente a quale casa si riferisca bisogna ascoltare con attenzione”.
A Paradise, l’America è un luogo mitico, immaginato, visto alla televisione e nei giornali, la terra di E.R. e Paris Hilton. Darling ripete spesso ai suoi amici che presto se ne andrà dalla zia. Ma l’America reale è ben diversa da quella tanto sognata. Detroit è innanzitutto un luogo ostile: freddo e bianco. La neve ha inghiottito tutto: la terra, i fiori, le formiche, gli alberi, la spazzatura. Le persone sono diverse, si comportano in modo incomprensibile e soprattutto parlano in modo incomprensibile. Sebbene Darling conosca l’inglese, quando va in America si rende conto che l’inglese qui parlato è diverso, impone di pensare a quello che si vuole dire, di trovare le parole e sperare poi che suonino esatte. La velocità con cui tutto questo deve essere fatto, fa sì che non sempre l’esito sia quello desiderato e gli interlocutori, anziché sforzarsi di comprendere le difficoltà, si concentrano sugli errori. Darling, attenta osservatrice qual è, impara dalla televisione a parlare come gli americani, ma la zia e molti immigrati della sua generazione non ci riescono e continuano a vivere avvolti da incomunicabilità e incomprensione.
Darling sente moltissimo la mancanza di Paradise e dei suoi amici, ma allo stesso tempo se ne è andata, è ormai diversa da loro, non sa come comunicare con loro. Così come gli amici l’accusano di non essere rimasta e quindi di non poter capire la sofferenza dello Zimbabwe, loro non riescono a capire gli ostacoli e la sofferenza che Darling ha dovuto e deve affrontare in America.
Nell’affrontare la nostalgia, la solitudine e l’incomprensione e in questo essere in bilico fra due mondi, senza più appartenere completamente a nessuno dei due, l’esperienza di Darling, pur nella sua unicità, assume un significato più ampio. In un’epoca in cui gli individui si spostano sempre di più, qual è il luogo del migrante? Cosa significa “casa”? Cosa definisce l’appartenenza?
Autore: Bulawayo NoViolet
Titolo: C’è bisogno di nuovi nomi
Titolo originale: We Need New Names
Traduzione: Malanga E.
Editore: Bompiani
Anno: 2014