Monaco di Baviera, 28 maggio 2013, ore 22:00 circa: due biciclette stanno procedendo silenziosamente in fila indiana, costeggiando il fiume Isar. All’improvviso, sbuca dal buio un uomo incappucciato che sputa in faccia alla ragazza che sta pedalando precedendo la bici condotta dal fidanzato. Questi, accortosi dell’accaduto, si gira per andare a chiedere spiegazioni all’inquietante individuo. Ma costui, non appena il ragazzo gli si avvicina, lo uccide con cinque coltellate.

Perde così la vita Domenico Lorusso, trentunenne ingegnere italiano originario di Potenza, che da pochi mesi aveva coronato un sogno: quello di andare a convivere, dopo nove anni d’amore a distanza, con la fidanzata, sua conterranea, la quale, terminata l’Università nella città tedesca, aveva deciso di stabilirsi colà.

Partendo da questa triste vicenda realmente accaduta e dalla conoscenza diretta di Domenico e della fidanzata, sua studentessa alla scuola per traduttori ed interpreti, Marco Montemarano, da vero scrittore, rende fertile l’emozione e lo sgomento provati dinnanzi a una morte tanto assurda. Ricostruisce, secondo la sua fantasia, gli accadimenti successivi all’omicidio: cambiano i nomi dei personaggi, forse le loro caratteristiche fisiche e ne vengono aggiunti degli altri frutto dell’immaginazione.

A questo punto lasciamo la realtà dentro i confini della cronaca nera e introduciamoci nella finzione.

Tutto parte da una morte, dunque. E, per di più, violenta.

Non solo quella di Martin, barbaramente assassinato, ma anche quella di Natalia, la sua ragazza che è, in un certo senso, morta con lui, sente cioè che è morto l’ideale che si era costruita di una vita accanto a lui.

Ma Natalia, ragazza intelligente e volitiva, comprende a un certo punto che non può più rimanere sospesa in questa condizione di immobilità e da Lanciano (Abruzzo), sua terra d’origine, ove la sua morte figurativa l’ha costretta a rifugiarsi, decide di tornare in Germania, per riprendersi la sua vita.

Lo deve prima di tutto a Martin, oltre che a sé stessa:

E se ha deciso che ricomincerà la vita di prima e che vivrà per sempre con Martin, sarà così. Ogni suo gesto d’ora in poi sarà per lui e con lui. (…). Come se Martin fosse semplicemente ammalato, e lei dovesse accudirlo in una stanza appartata, e la sua malattia si chiamasse assenza”.

La storia di Natalia si intreccia con quella di Alexander, suo professore universitario.

Anch’egli è un uomo traumatizzato da un evento violento: l’aver assistito, durante la sua infanzia, all’omicidio del padre per opera dell’amante della madre.

La morte del suo desiderio di vivere con il padre lo condurrà in quella situazione di immobilismo prima descritta, simboleggiata tra l’altro dal volto privo di espressione, quasi plastificato, che Alexander assumerà da adulto: la maschera indossata da chi, inconsciamente, tende a nascondere il proprio passato e le proprie emozioni.

Lo choc per il delitto di Martin gli farà dunque da leva per rimuovere il blocco impostogli dal trauma subito e grazie anche alla forza di volontà di Natalia, si rimpossesserà gradatamente del passato per iniziare a vivere la vita nella sua interezza, come un solo essere (vedasi il titolo dell’opera…), cercando di affrontare il dolore non come cosa da nascondere bensì come stimolo per imparare a vivere.

Una delle tappe fondamentali di questo cammino della coscienza è il ritorno a Lanciano: Alexander (presto tornato Alessandro), guarda caso, condivide con Natalia le medesime origini: è infatti figlio di italiani immigrati in Austria.

Ecco, i luoghi.

I luoghi nell’opera sono importanti, altroché. I personaggi sono pressoché tutti stranieri e ciò li rende particolarmente uniti e interdipendenti l’uno dall’altro. È come se tutti questi luoghi, ed il loro ricordo – siano essi l’università, la Germania (e anche Graz e Linz per Alessandro) – fossero vissuti con quel senso critico di estraneità, quella contrapposizione con il proprio essere stranieri, che solo un emigrato può provare.

È una condizione che Montemarano, romano de borgata (che snocciola la trama narrando in prima persona attraverso Massimo, senza dubbio suo alter ego) conosce benissimo, vivendo in Germania da venticinque anni, fintantoché arriverà a dire che anche

“uno sputo in faccia, in terra straniera, ha un significato diverso”.

È, questa, un’opera letteraria in cui si possa intravedere una sorta di lieto fine?

Per rispondere a questa domanda, è bene compiere un percorso a ritroso, dalla finzione alla realtà.

Si percepisce come l’autore sia ancora scosso dalla notizia dell’omicidio di Domenico Lorusso e tenti nel romanzo di ritrovare la pace interiore contribuendo a scoprire l’assassino, tracciandone a parole diversi identikit.

Ma, mentre nella finzione si arriverà ad una (insospettabile…) soluzione, è risaputo che, nella realtà, ciò non è purtroppo accaduto: nell’ordinata e organizzata Germania, l’omicida di Domenico Lorusso non verrà mai identificato e, come solitamente accade in questi casi, giornali e telegiornali, presi dalle novità presenti e da conseguenti doveri di cronaca, se ne sono troppo presto dimenticati.

Titolo: Un solo essere
Autore: Marco Montemarano
Editore: Neri Pozza
Anno: 2015