Non c’ero mai stato (Neri Pozza) di Vladimiro Bottone è la storia di un incontro che cambierà due intere esistenze. Lui, Ernesto Aloja, è un ex editor sulla soglia dei sessanta; lei, Lena Di Nardo è una trentenne aspirante scrittrice. Tra i due una discordante Napoli.
Nella città partenopea Ernesto fa ritorno dopo una lunga carriera al nord, una carriera basata sull’editing: limare, riscrivere, aggiustare, taglia e cuci di dattiloscritti che hanno consacrato i suoi autori al successo, ma non Ernesto, ché questo è un lavoro che ti confina consapevolmente dietro le quinte. La gloria sarà dunque degli altri, non tua. Soprattutto quando rinunci al tuo di romanzo, mettendo un freno a una personale ambizione a favore di quella altrui. Come gli psicofarmaci, una scappatoia per tenere a bada le ombre che hanno scandito la sua vita a Napoli – sulla salita Pontecorvo – prima che andasse via.
Poi l’acquisto di un bloc-notes, un plico color senape nella cassetta postale, l’arrivo di marzo. Il mese in cui Lena Di Nardo irrompe nella vita dell’editor con il suo primo romanzo, chiaramente autobiografico, in cui la giovane ha raccolto le sue esperienze disordinate e promiscue a tratti oscene e disturbanti. Esperienze che, all’interno del testo, fa rivivere attraverso Gilda Ninno che subito si palesa come suo alter ego.
“Gilda Ninno e Lena Di Nardo si travasano l’una nell’altra, è lampante. La loro somiglianza fisica, tutte le loro concordanze comportamentali… Entrambe che si votano a delle attività creative (il disegno, la scrittura) … Gilda e Lena: la protagonista e l’autrice, la scrittrice e il suo doppio, due entità distinte di cui non si riesce più a isolare le relative identità”.
Un testo che all’editor Ernesto appare immaturo ma tumultuoso, un effluvio di tutto e subito in cui emerge, però, la capacità dell’autrice che riesce a travalicare le esplicite tinte erotiche. Aloja non può farne già a meno. Si prende carico di Lena, e Gilda, decide di aiutarla a scrivere un romanzo degno del Premio Pavese; un romanzo scandaloso di una generazione (quella dei trentenni) che quasi più niente può scandalizzare. Il libro li lega, in quanto maestro e allieva. Il libro segnerà in definitiva il loro destino.
Dopo le prime riunioni si nota subito un cambiamento nel rapporto tra Lena ed Ernesto, che non sa e non immagina neanche che il suo quotidiano sarà letteralmente stravolto da questo incontro. Perché la vita dell’editor è scandita da una pacata routine altoborghese, della Napoli bene, senza scossoni e pochi contatti umani, quelli essenziali. Per questo preferisce sperimentare le due forme di alienazione a lui più congeniali: scrittura ed Eros. Di eros sono pregne le pagine di Bottone: sensualità, sessualità passionale e violenta fino alla brutalizzazione, quella raccontata da Lena.
Ernesto si accorgerà presto però che ripercorrere la storia di Gilda vuol dire ripercorrere la sua storia; che le colpe di Gilda sono le sue colpe, la Macchia che si porta dietro come un fardello lungo decenni. Aloja teme che il se stesso dimenticato stia per bussare, pretendendo gli arretrati come un esattore delle tasse; lui più di tutti gli altri li esige poiché prima o poi gli errori del passato tornano prepotenti a richiedere il conto. Una vita per una vita. Un nome e un cognome, Patrizia Ferraro, riaffiorano prepotentemente e hanno la forza di un pugno nello stomaco: Patrizia, il tabù, la colpa, il fantasma, ciò che avrebbe dovuto essere e non è stato.
Questo è il risultato dell’incontro tra Ernesto e Lena, i ruoli si scambiano, si confondono, i confini non sono più netti. L’impatto tra i due è intenso e ai limiti dell’ossessivo, tanto che l’ex editor travalica i termini della pagina nell’impossibilità di astrarsi dall’eccitazione e dal supplizio della vicinanza della trentenne. Una donna alla quale si consegna completamente, tanto da farsi trascinare nel suo mondo fatto da notti in discoteca e alcol, giovani senza senso del limite, perso tra le luci psichedeliche di locali privi di personalità. Lena che scappa e ricompare; Lena protagonista di inquietanti episodi: viene pedinata, speronata con l’auto, vessata sui social e aggredita da una ragazza nel parcheggio di una discoteca. E intanto le notti di Aloja passano insonni alla mercé di frustrazioni, sensi di colpa, inquietudine e strane telefonate anonime.
Impossibile, per lui e per i lettori, non chiedersi chi sia veramente Lena e quale sia il suo scopo; difficile non rendersi conto di essere entrato in un territorio impervio in cui il racconto della vita della Di Nardo diventa la porta di accesso alla verità, un percorso di espiazione dei propri peccati e il tentativo di sanificare una esistenza persa. Non è più importante trovare la parola giusta, un sinonimo, quanto leggere tra le righe.
Vladimiro Bottone ci consegna un testo forte e conturbante. Mette in scena un gioco di incontri e contrapposizioni, a partire dalle due amanti di Ernesto Aloja: Jucara ed Eliana. La prima brasiliana, sposata con un uomo che tradisce con diversi amanti e che abita in una palazzina popolare tra bambini urlanti, inquilini che litigano, televisori al massimo del volume; la seconda una donna matura e benestante che vive in una villa con vista su Ischia e che non si fa problemi a pagare un uomo più giovane che soddisfi tutte le sue voglie. E ancora, Ernesto che si trascina in un appartamento panoramico su corso Vittorio Emanuele e Lena che viene dall’hinterland in cui si trovano ancora i tipici bassi napoletani. Tra loro uno scontro non solo anagrafico ma generazionale, fatto di accuse reciproche. Vero e falso si sospendono. Si scontrano due anime disperate, apparentemente diverse ma oscure in egual misura: l’una che cerca la salvezza in un mentore che la aiuti a mettere ordine tra le pagine e quindi nella sua vita; l’altro che rifugge dal passato. Un biglietto di sola andata per il crollo psicologico, una inevitabile discesa nell’Ade e la possibilità di andare – o tornare? – nei luoghi in cui non era mai stato.
Autore: Vladimiro Bottone
Titolo: Non c’ero mai stato
Casa editrice: Neri Pozza
Pagine: 399
Anno: 2020