«La fortuna è cieca, mentre la sfiga ci vede benissimo».
È questo il principio che informa le pagine di questo libro che si pone come la naturale continuazione di Morti favolose degli antichi di Dino Baldi, con la differenza che qui si tratta per lo più delle morti dei moderni, in uno stile molto scanzonato e pop, in cui il fattore sfiga è stato preponderante.
Il sottotitolo di questo volume dichiara che si tratta di: «Storie di gente che ha cambiato il mondo, ma poi qualcosa è andato storto». E nella prefazione Micol Beltramini, che ha messo insieme questa raccolta di vicende sfortunate che appaiono quasi inventate nella loro assolutamente veritiera assurdità, sottolinea come:
«I razionalisti dicono che la sfiga non esiste: gli eventi negativi sono autoprovocati o dovuti al caso, e quella che noi chiamiamo sfortuna è solo la nostra percezione di tali eventi. Be’, magari sarà anche vero, ma è un po’ come dire che l’amore è solo chimica e conservazione della specie. Né sfiga né amore guardano in faccia nessuno, tra l’altro: ‘ndo cojono, cojono – e hanno il potere di renderci in qualche modo eroici».
Comunque sia questo non è un manuale sulla sfiga, come ne sono stati scritti a bizzeffe. Uno su tutti il celeberrimo Scrittori della jettatura (Salerno Editrice, Roma, 1980), a cura di Giuseppe Izzi, con premessa di Giorgio Manganelli, che raccoglie la Cicalata sul fascino volgarmente detto jettatura di Nicola Valletta; I Capricci sulla jettatura di Gian Leonardo Marugi o il famoso Antidoto al fascino detto volgarmente jettatura di Antonino Schioppa, dedicato agli sciagurati, ovviamente tutti di scuola napoletana.
Questo non sarà un manuale, ma una volta letto ci convince, più di qualsiasi altra arzigogolata argomentazione che non sia la semplice e implacabile forza degli esempi, che la sfiga esiste e lotta contro di noi.
Micol Beltramini ad esempio ci racconta di Pitagora e che tra i precetti del pitagorismo, la dottrina religiosa da lui predicata, ve n’era uno che vietava di mangiare o toccare fave e proprio questo precetto fu la causa della morte del filosofo. Così che l’autrice abbia buon gioco a chiosare a mo’ di monito che: «se mai vi capitasse di fondare una religione cercate di andarci piano, coi precetti cretini».
Anche la morte di Bob Marley è legata a un precetto religioso. Era infatti rastafariano, secondo il cui credo nessuna lama può toccare il corpo degli adepti. Così quando al musicista giamaicano fu diagnosticato una rara forma di cancro, per la quale il suo medico gli consigliò di tagliare l’alluce, per bloccare la diffusione del tumore, Bob Marley si rifiutò e morì in ospedale a soli trentasei anni.
Ma non di sole sfighe mortali è imbastito questo libro, bensì anche di esistenze vissute sotto l’insegna della sfiga costante, come accaduto a Janis Joplin o a Edgar Allan Poe, sfortunato in vita, nella morte e dopo la morte: il suo necrologio lo scrisse infatti il suo peggior nemico, Rufus Wilmot Griswold, un critico che nutriva dissapori nei confronti di Poe e che ne divenne l’esecutore letterario tentando di distruggere il suo ricordo definendolo un pazzo, alcolizzato, drogato e depravato, minando la sua reputazione postuma per molti anni, fino alla sua riscoperta letteraria.
Questo è anche un libro che insegna come la sfiga non colpisca solo i comuni mortali, i travet, i nerds e l’uomo comune, e che la gloria e il successo non rendono per niente immuni dalla sfiga, anzi, forse in un certo qual modo la catalizzano se leggiamo attentamente le biografie, inserite tra queste pagine, di André de Giant, Oscar Wilde, Brandon Lee, Isadora Duncan, Lady D, Frida Kahlo, Superman e avanti così.
Ma le sfighe supreme, descritte in questo libro, che meritano il podio della coppa Fantozzi sono tre: sul gradino più basso del podio c’è la morte di Eschilo, che mentre schiacciava un pisolino in un prato fu colpito nel sonno da una tartaruga scagliata dall’alto da un’aquila, che scambiò la sua pelata per una pietra. Tra l’altro, racconta Valerio Massimo, citato da Micol Beltramini, la tartaruga, al contrario della zucca pelata di Eschilo, neanche si ruppe…
Al secondo posto c’è la morte del celebre condottiero Attila, il flagello di Dio, ottimo nome per un diserbante, dato che quando passava lui non cresceva più l’erba e che tutti quanti ci immaginiamo con le fattezze di un giovane Abatantuono:
«Nei primi mesi del 453 d.C. sposò una bonazza ungherese di nome Krimhilda (Ildiko, per gli amici), al banchetto bevve e mangiò come un grosso cinghiale, e quando si trattò di consumare con Ildiko andò che gli uscì un mucchio di sangue dal naso e finì per restarci secco. Ma vi pare?»
Sul gradino più alto del podio c’è la morte assurda dello scrittore Tennessee Williams, che tra l’altro non nacque nell’omonimo stato, ma nel Mississippi, e che morì mettendosi del collirio, mentre si trovava da solo nella suite di un hotel di New York. Com’è possibile morire mettendosi del collirio nell’occhio? Semplice! Basta leggere il libro Che Sfiga! Per scoprirlo…
E per scoprire, sempre raccontato con fare scanzonato e colloquiale dall’autrice di questo piacevole libro, cosa accadde quando, come di consueto, il celebre produttore di Whiskey Jack Daniel dimenticò per l’ultima volta la combinazione della sua cassaforte…
P.s. Un libro scritto in maniera molto divertente e correlato dai pregevoli disegni di Giancarlo Ascari che impreziosiscono ulteriormente un volume di ottima fattura, con copertina rigida e di grande formato, davvero molto ben curato.
Micol Beltramini
Che Sfiga!
Illustrazioni di Giancarlo Ascari
Centauria
2018