Hermann Hesse nel romanzo Il gioco delle perle di vetro narra di un fantomatico ordine composto di soli intellettuali e collocato nell’immaginaria regione di Castalia, in un imprecisato futuro remoto. Nella vita degli intellettuali del romanzo un ruolo centrale viene svolto da un gioco immaginario, appunto il ‘gioco delle perle di vetro’. Le regole del gioco non vengono mai spiegate, ma si intuisce che siano estremamente sofisticate. In qualche modo, il gioco si basa su una sintesi di tutto lo scibile umano; le mosse dei giocatori consistono nello stabilire relazioni fra soggetti apparentemente lontanissimi fra loro. Una sola cosa è sicura, ovvero che Hesse abbia tratto l’idea da un millenario gioco cinese, il gioco del Go.
Il gioco nasce in Cina e molte leggende s’intrecciano rendendo misteriosa la sua nascita. Così a diciotto secoli dalla sua comparsa ufficiale, a venticinque o quaranta secoli dalla sua nascita leggendaria, nell’anno 735, il go viene introdotto in Giappone dall’ambasciatore Kibi Daijin al suo ritorno da un viaggio in Cina. L’ossessione del go in Giappone ebbe presto effetti devastanti, divenendo in breve tempo il gioco più popolare.
Eppure per molti secoli il gioco del go fu pressoché sconosciuto al mondo occidentale. Dobbiamo a Claude Chevalley, matematico francese di fama mondiale, l’introduzione del go in Europa. Chevalley, di ritorno dal Giappone, insegnò il gioco a due suoi studenti: Pierre Lusson e Jacques Roubaud. Questi ultimi, nel 1968, si recano al Moulin D’Andé, in Normandia, il posto dove è stato girato Jules et Jim, e dove in quel periodo abitava Georges Perec. Da questo incontro e dalle loro nottate, anch’esse leggendarie, passate a giocare a go nasce questo Breve trattato sulla sottile arte del go, ristampato sempre in copia anastatica e finalmente tradotto in italiano dall’editore Quodlibet.
Breve trattato che nasce dalla passione e dalla goliardia di tre dilettanti del gioco e che grazie all’estro oulipiano di Perec si trasforma da sterile trattato nozionistico, in vera e propria opera d’arte letteraria, con tanto di aforismi, giochi di parole, proverbi e modi di dire incentrati sul gioco del go. C’è anche una doverosa postilla, che spiega ai lettori-giocatori come poter insultare gli autori del trattato, ovvero scrivendo all’indirizzo del primo editore francese.
L’aspetto più interessante del Breve trattato, dice bene la traduttrice Martina Cardelli in una nota finale, è questo suo venire fuori dall’incontro di due mondi così lontani: un gioco dalle regole immutabili, le cui origini si perdono nelle mille e una notte dell’antico oriente e i disinvolti, occidentalissimi, sperimentali e rivoluzionari anni Sessanta francesi.
Uno degli aspetti più divertenti del libro è sicuramente il continuo riferimento al gioco degli scacchi, che starebbe al go, come un parente povero al principe dei giochi. Il go è l’anti-scacchi per eccellenza. Per dimostrarlo c’è tutto un capitolo in cui si esecra il gioco degli scacchi: un gioco feudale, fondato sull’esaltazione del torneo e sull’ineguaglianza sociale e che inoltre non è un gioco che insegna le buone maniere. Il gioco degli scacchi è un gioco confuso, dove non c’è una pedina che faccia le stesse mosse dell’altra, inoltre se due giocatori di diversa bravura giocano insieme il più bravo rischia inevitabilmente di annoiarsi, cosa che non succede con il go.
La stessa cosa, fuori dal paradossale estremismo di Perec & Co, lo ribadisce però anche Tiziana Zita, giocatrice di go, la quale afferma che il go appartiene anche al regno dell’arte, oltre che a quello della logica. Nel 1997 Garry Kasparov, allora campione del mondo di scacchi, è stato battuto dal software Deep Blue. Il go è diverso e ad oggi nessun computer è ancora riuscito a battere un professionista, perché in questo gioco si mescolano in maniera indissolubile l’aspetto estetico e quello celebrale.
Così nel Breve trattato si descrivono le regole del gioco, i progressi di un giocatore e l’estasi che lo coglierà allorquando avrà imparato a destreggiarsi sul goban. Quando «smetteremo di combattere come goffi straccioni. Le nostre partite saranno più aeree, più libere, quindi più belle; avremo timide audacie; impareremo a giocare con l’Altro come si gioca a poker, con tutta l’emozione del poker. Tutta la passione del giocatore, come l’ha descritta la leggenda, quella della Dama di Picche, quella della Difesa di Lužin sarà allora possibile, con questo ingrediente supplementare, che l’emozione si leghi inestricabilmente non al caso, ma a una scienza, all’uso felice di una scienza».
Perché, infine, esiste una sola attività cui si possa ragionevolmente accostare il millenario gioco del go. Lo avrete capito, quell’attività è la scrittura.
P.s. Per chi, come me, prima di leggere un libro legge a fine volume l’elenco dei libri presenti nella medesima collana. Se è una collana nota, per scoprirne le nuove uscite. O se di editore meno noto, per conoscere in quale ambito è inserito il libro che si tiene in mano. Consiglio questa collana Quodlibet, dell’omonimo editore. Basterebbero i primi tre nomi: Gilles Deleuze, Silvio D’Arzo, Robert Walser. Ma l’elenco continua: Dolores Prato, Giorgio Manganelli, Ingeborg Bachmann, Franco Fortini, Gianfranco Contini and GOes on…
Georges Perec, Pierre Lusson, Jacques Roubaud
Breve trattato sulla sottile arte del go
Titolo originale: Petit traité invitant à la decouverte de l’art subtil du go
Traduzione di Martina Cardelli
Postfazione di Tiziana Zita
Editore Quodlibet
Anno 2014