Clitennestra è, insieme al figlio Oreste, una figura fondamentale nell’Orestea di Eschilo. Donna astuta, dall’intelligenza feroce e dotata di morbosa sensualità, piega le persone che la circondano al proprio volere, diventando il modello per eccellenza della donna infame che uccide lo sposo. Oliver Taplin afferma che una delle funzioni di Clitennestra è quella di essere «la padrona della soglia», di regolare l’ingresso e l’uscita dei personaggi dalla reggia, esercitando su di loro un forte potere.
Il dialogo con il marito Agamennone, appena rientrato in patria dalla guerra di Troia, rivela fin da subito la violenta passione e la forza distruttrice di Clitennestra, contrapposta all’inconsapevolezza del re vincitore. La donna accoglie il marito e la sua schiava di guerra, Cassandra, con un discorso ambiguo, spingendolo a compiere l’atto oltraggioso di calpestare i tessuti rossi porpora.
Dopo aver espresso amore, devozione e fedeltà nei confronti di Agamennone, Clitennestra esorta infatti le ancelle a stendere il tappeto rosso, che rappresenta una via di sangue che condurrà il re dentro casa e al luogo in cui avverrà il suo assassinio (Agamennone, vv. 905-913, trad. Medda-Battezzato-Pattoni).
Ma ora, mio caro, scendi da questo carro, senza però posare a terra il tuo piede che ha distrutto Troia, mio signore. Che aspettate voi, ancelle cui è stato assegnato il compito di coprire di drappi il suolo su cui deve camminare? Subito si prepari un cammino coperto di porpora, perché Giustizia lo conduca alla sua casa che non sperava più di vedere: il resto lo sistemerà in modo giusto una cura che non è vinta dal sonno, con l’aiuto divino secondo il destino.
Agamennone, pur vantandosi della propria vittoria e della propria capacità di conoscere le intenzioni degli uomini, non comprende i piani reali della sposa e acquista così un carattere patetico. Le ultime parole rivelano l’ambiguità del discorso di Clitennestra: se apparentemente la sposa prepara il benvenuto al marito, nelle intenzioni reali ella si augura che la Giustizia lo punisca per l’uccisione della figlia Ifigenia. Agamennone aveva infatti sacrificato la figlia con l’inganno per permettere alla flotta greca di salpare per Troia, placando così l’ira della dea Artemide, oltraggiata dal re.
Dal palazzo risuonano le grida del re colpito a morte e Clitennestra appare fiera accanto ai cadaveri del marito e di Cassandra, finalmente paga della vendetta. La scena dell’assassinio è descritto dalla stessa protagonista, che nella narrazione sembra riassaporare ogni momento dell’accaduto (Agamennone, vv. 1372-1387, trad. R. Sevieri).
Delle molte parole che prima per opportunità ho pronunciato, non mi vergognerò di dire ora l’opposto: come altrimenti si potrebbe, preparando insidie ad un nemico che ha volto d’amico, intrappolarlo in una rete di sventura più alta di qualunque salto? […] Ho fatto in modo, e non ho intenzione di negarlo, che non potesse fuggire e né sottrarsi al suo destino: in una rete senza fine l’ho avvolto, come un pesce, una veste sontuosa di morte; due volte lo colpisco, in due gemiti gli si sciolgono subito le membra, e dopo che è caduto aggiungo un terzo colpo, come offerta votiva a Zeus Salvatore.
Clitennestra rivendica quindi la propria azione con orgoglio, ma subito dopo la giustifica: non è stata lei ad agire, ma il demone vendicatore ha agito attraverso di lei, compiendo un atto di giustizia nei confronti della figlia crudelmente sacrificata.
Clitennestra sarà a sua volta uccisa dal figlio Oreste, desideroso di vendicare l’assassinio del padre secondo un ordine patriarcale voluto da Apollo. Ogni atto di riparazione si trasforma ogni volta in una nuova contaminazione. La colpa si trasmette all’interno dei legami famigliari, come una malattia ereditaria, e nessuno è veramente innocente. Questo atto di sangue è però velato da un dilemma tragico: nel momento dell’uccisione, Clitennestra si denuda il petto e fa leva sulla pietà del figlio (Coefore, vv. 896-898, trad. R. Sevieri):
Fermati, figlio, abbi rispetto, creatura mia, di questo seno, al quale tante volte tu, pieno di sonno, hai succhiato fra le labbra il dolce latte della vita.
Per la prima volta un personaggio tragico esita di fronte all’azione che deve compiere: Oreste dubita, e solo dopo l’appello del compagno Pilade compie l’atto. Subito dopo Oreste è perseguitato e condotto alla pazzia dalle Erinni, demoni del mondo sotterraneo che sorgono dal cadavere del morto e inchiodano alla sua colpa l’uccisore.
La cultura greca arcaica non conosce il concetto di perdono, ma quello di purificazione e di espiazione. Il contagio di sangue propagatosi nella famiglia degli Atridi culmina nel castigo ricevuto da Oreste attraverso un processo e nella successiva purificazione e riammissione nella società.
L’Orestea, con le stragi e il sangue sparso, rappresenta il passaggio da una giustizia tribale e famigliare a una giustizia di Stato fatta di tribunali, città e divinità cittadine. Il desiderio di vendetta attenua momentaneamente il dolore, ma genera poi, inevitabilmente, altra violenza. Dal dilemma della contaminazione non si esce con le leggi della vendetta tribale: solo il diritto e la legge possono regolare i contrasti, includendo gli aspetti razionali ed emotivi dell’uomo. Le Erinni alla fine si placano e diventano le Eumenidi, le benevole.
Clitennestra è una donna violenta e superba, contrapposta all’ideale di purezza e devozione incarnato da Penelope. Durante molte notti insonni e per interminabili giorni, Clitennestra tesse la tela dell’inganno in preda a una febbre omicida. La sua personalità cambia profondamente nel corso della tragedia: da vittima della violenza di Agamennone, diviene carnefice e nuovamente vittima del figlio. Clitennestra è una figura complicata e controversa: spaventosamente affascinante per la sua determinazione e per la sua feroce passione, ma anche temibile per il suo odio senza limiti e per la sua lotta contro un fato avverso che non riesce ad abbatterla. Clitennestra è una femme fatale, una bella senza pietà.
Fonti delle traduzioni:
Sofocle, Coefore, a cura di R. Sevieri, Venezia: Marsilio 1995.
Sofocle, Orestea (Agamennone, Coefore, Eumenidi), introduzione di V. Di Benedetto, traduzione e note di E. Medda, L. Battezzato, M. P. Pattoni, Milano: BUR 2010.
4 commenti
Grazie Mario, grazie davvero per avere espresso il tuo punto di vista. Se al mondo ci fossero più uomini dotati della tua obiettività e sensibilità sarebbe di certo un posto migliore. Sarei stata orgogliosa di averti come padre.
Agamennone non avrebbe mai voluto uccidere Ifigenia che difesa da Achille, avrebbe potuto salvarsi. Fu lei che, capito quello che era in gioco, si offrì per essere sacrificata ma non al Padre, bensì al comandante di tutto l’Esercito greco. Senza il sacrificio di Ifigenia gli achei non avrebbero mai potuto sconfiggere Troia. Il femminismo tirato in ballo è una ciclopica cazzata secondo me. Tutto il casino dell’Iliade lo hanno scatenato 4 donne: Atena, Afrodite ed Hera in competizione tra loro a causa della dea Eris che si era incazzata perchè non era stata invitata ad un matrimonio. E meno male che erano pure dee…
Sgombro ogni possibile dubbio sull’articolo condividendone lo stile e i contenuti.
Ovviamente questo nel rispetto dello spirito dei testi classici e della cultura dell’epoca.
Detto ciò, purtuttavia non può mancare qualche doverosa osservazione, o considerazione, sulla cultura classica che concerne il rapporto tra la figura femminile e quella maschile nell’ambito familiare e sociale. Ciò senza alcun riferimento all’autrice dell’articolo e alla esposizione dello stesso, ma calandomi nello spirito dell’epoca alla luce delle mie idee attuali, quelle di un uomo di 70 anni che si considera fuori del tempo e dello spazio, in senso astratto. Idee che ho concepito direttamente fin dai primi anni, si può dire quasi succhiate con il latte materno, poi rafforzate e mai abiurate.
Insomma, per dirla in parole povere, la partita si conclude con il risultato di 2 a 1, e poi tutto finisce “pari e patta”, secondo la cultura dell’epoca. Clitemnestra vendica la figlia e Oreste vendica il padre.
Due donne morte a fronte della morte di un uomo solo. Vince il maschilismo e questo non mi sta bene. Per essere coerenti con un concetto di “giustizia” classico, non è giusto che Oreste non paghi per l’uccisione della madre, anche tenendo in conto il fatto che in tal modo Oreste avalla indirettamente l’uccisione della sorella da parte del padre. Bene avrebbe fatto ad astenersi dal compiere vendetta, e lasciare che fosse stata una “giustizia divina” (specifico che sono ateo) o di rango transumano a provvedere eventualmente nei riguardi di Clitemnestra.
Infatti sarebbe stato auspicabile e giusto (secondo la mia sensibilità) che la sorte di purificazione toccata a Oreste, fosse invece aggiudicata a Clitemnestra, e allora il “conto”, secondo il mio senso di giustizia, sarebbe stato alla pari.
Ma una donna che uccide un uomo, nella cultura classica, sembra che non possa essere purificata, ma va condannata a morte, perché il maschio è molto più sacro della femmina. E non sarebbe stato nemmeno Oreste quindi a vendicare la morte di Ifigenia, uccidendo il padre, giacché l’uccisione di una donna da parte di un uomo (Agamennone) non è fatto talmente grave da meritare la condanna a morte.
Traspare quindi doppiamente la disparità di trattamento fra uomo e donna di fronte alle stesse colpe. Agamennone può uccidere una donna, la figlia, senza meritare la morte da parte della cultura classica, e parimenti Oreste non può meritare la morte per l’uccisione della madre. Le donne nella cultura classica possono essere uccise quasi impunemente. Basta avere (o trovare) una “valida” giustificazione.
Mi pare che sia indispensabile oggi sottolineare in modo esplicito questo modo di intendere il rapporto fra uomo e donna, specialmente di fronte alla barbara cultura odierna del femminicidio, facendo risaltare che, nonostante siano trascorsi due millenni e più, il maschio continua a sentirsi padrone del diritto di vita o di morte della femmina che più gli aggrada, o conviene, sopprimere.
Tale eredità è ancora perfettamente legittima in moltissime culture odierne contemporanee. La cronaca ce lo ricorda quasi ogni giorno.
In conclusione io perciò spezzo una lancia a favore di Clitemnestra, che considero una “eroina” a tutto campo, e che sarei stato fiero di avere come madre.
Volevo dirti che mi complimento per la tua obiettività che ti fa analizzare le cose in modo equanime, e che sarei stata orgogliosa di averti come fratello.